Nell’Unione europea il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca ha scatenato, generalmente, un’ondata di panico. Qualche governo l’ha salutato con favore, ma sono quei governi che cercano sempre una sponda contro i loro doveri verso l’Unione, dalla quale traggono enormi benefici tentando di non rispettare il patto che li lega al Ventisette, per ragioni di politica interna, come l’Ungheria. Sono Paesi che possono creare seccature, non molto di più.
Il problema vero è l’atteggiamento di molti esponenti dei grandi Paesi, anche di alcuni vertici dell’Ue stessa. La questione che più tocca è quella della difesa: “Come faremo senza l’ombrello americano?”. Ma anche “come faremo a mantenere la vitalità del nostro commercio internazionale senza un buon rapporto con gli Usa?”. Ecco, dopo aver consapevolmente nascosto la cenere sotto al tappeto per decenni, ora in molti sembrano esserci scivolati su quel tappeto solo a partire dallo scorso novembre, o qualcuno dal 20 gennaio, giorno dell’insediamento.
L’Unione paga adesso decenni di errori, è vero, che sono però condivisi un po’ da tutti. Ma, pace, l’errore c’è stato e passare il tempo ad analizzarlo è forse più utile per gli accademici, per gli analisti, che per i decisori.
I decisori devono stabilire la risposta da dare, smettendo però di farsi prendere dal panico, smettendo di pensare che le risposte devono arrivare a tamburo battente, a poche ore dalle provocazioni di Trump.
L’Unione europea rivendica di essere il più grande mercato unico del Mondo, è (è vero, sempre meno) un’area di grande ricchezza e di grandi capacità, è un ganglio fondamentale della politica estera internazionale, dal quale neanche gli Stati Uniti possono prescindere, in particolare se vogliono affrontare il nemico numero uno di Trump, la Cina.
Ora, in tanti, si dicono, più o meno “per non fare arrabbiare Trump iniziamo a comprare armi statunitensi, aumentiamo la spesa e diamo soldi agli Usa”. Fesserie. Vorrebbe dire ripetere, in chiave “Maga”, gli errori del passato: comprare armi dagli Usa non farebbe che confermare, se non aggravare, la nostra dipendenza dagli Stati Uniti, vorrebbe dire affidare alle loro mani i nostri mezzi di Difesa e legare le nostre di mani.
Questo è quel che Trump vuole, mantenere l’Europa dipendente dagli Usa, ma questa volta guadagnandoci oltre ad un enorme peso nella politica internazionale, anche dei bei soldi.
Sul piano commerciale i conti sono diversi, abbiamo noi europei un surplus di beni, e probabilmente gli Usa lo hanno nei servizi. I conti sono tanti, ma forse si può dire che c’è un leggero vantaggio europeo. Il che vuol dire che noi siamo un mercato imprescindibile per Washington.
Insomma, bisogna rifuggire il panico e stare in piedi con la coscienza di avere forze e potenzialità che dobbiamo saper sviluppare, indirizzare meglio, per mantenere la nostra forza economica e trovarci un posto degno nel Mondo.
Sul fronte difesa qualche piccolo passo è stato avviato, come sugli appalti comuni tra Paesi, che favoriscano la produzione Ue e l’interoperabilità delle Forze Armate. Ma c’è moltissimo da fare, e già saperlo aiuta; come ha spiegato oggi al Parlamento europeo Mario Draghi, circa il nostro sistema di difesa, “la frammentazione della capacità industriale lungo le linee nazionali impedisce di raggiungere la scala necessaria. Anche se siamo collettivamente il terzo Paese al mondo per spesa, non saremmo in grado di soddisfare un aumento della spesa per la difesa attraverso la nostra capacità produttiva. I nostri sistemi di difesa nazionali non sono né interoperabili né standardizzati in alcune parti chiave della catena di fornitura. Questo è uno dei tanti esempi in cui l’Ue è meno della somma delle sue parti”.
Non tutti ci vogliono stare, c’è chi pensa che Trump possa dare attenzione a qualche piccolo Paese (come siamo tutti in Europa, piccoli o piccolissimi) e trarne qualche vantaggio nell’immediato. Non è così, l’ottica di Trump è solo quella della forza, militare o economica, e su quel piano l’Unione deve sapere di essere in grado di rispondere. Per ora qualcuno ha iniziato a farlo, ma c’è spazio per tutti.