Dall’inviato a Strasburgo – Il programma della Commissione europea per il 2025 sarà all’insegna della semplificazione. Alleggerire il carico normativo, ridurre gli oneri amministrativi e la rendicontazione per le aziende: è questa la risposta di Ursula von der Leyen per ridare slancio alla competitività europea. Anche a costo di mettere in disparte alcuni dei principi faticosamente affermatisi con la transizione verde. Dal Parlamento europeo di Strasburgo, è il commissario per il Commercio Maroš Šefčovič a illustrare il piano di lavoro dei prossimi dodici mesi, annunciando una “semplificazione senza precedenti per liberare opportunità, innovazione e crescita”.
Nel primo anno della legislatura che accompagnerà Bruxelles fino all’alba del nuovo decennio, l’esecutivo Ue ha pianificato 51 iniziative, di cui 11 hanno una “forte dimensione” di semplificazione. In particolare, tre pacchetti ‘Omnibus’, con cui Bruxelles rimetterà le mani su file legislativi già adottati. “Veniamo da un periodo di attività regolatoria molto intensa – ha dichiarato ai cronisti il commissario all’Economia Valdis Dombrovskis -, l’accumulazione di norme aumenta la complessità” e in definitiva “limita il potenziale economico”.
Le prime normative a cadere nel nome della competitività europea saranno le direttive gemelle sulla due diligence aziendale (Csddd) e quella sulla rendicontazione delle imprese in materia di sostenibilità (Csrd). In questo primo pacchetto Omnibus, previsto già per il 26 febbraio, saranno rivisti anche gli obblighi relativi alla rendicontazione della tassonomia. Secondo la Commissione europea, l’allargamento delle maglie per quanto riguarda i vincoli ambientali e di rispetto dei diritti umani da parte delle aziende su tutta la catena di approvvigionamento “garantirà un migliore allineamento dei requisiti con le esigenze degli investitori, tempistiche proporzionate, metriche finanziarie che non scoraggino gli investimenti nelle piccole imprese in transizione e obblighi proporzionati alla portata delle attività delle diverse imprese”.
Dopo di che, sarà la volta dell’omnibus sulla semplificazione degli investimenti e di quello dedicato alle piccole imprese a media capitalizzazione (non classificabili come Pmi), che rimuoverà tra le altre cose le “richieste inefficienti di formato cartaceo nella legislazione sui prodotti”. Parallelamente, l’annacquamento della legislazione vigente toccherà il meccanismo di aggiustamento del carbonio (Cbam) – come già annunciato dal commissario al Clima Wopke Hoekstra -, dai cui obblighi Bruxelles vuole esentare circa l’80 per cento delle aziende europee. Nella comunicazione sulla semplificazione allegata al programma di lavoro per il 2025, sono inclusi anche un pacchetto sul digitale e uno relativo alla Politica Agricola Comune: nel primo è previsto lo snellimento della legge sulla sicurezza informatica, il secondo ridurrà gli eccessivi oneri amministrativi per gli agricoltori e per le amministrazioni nazionali nella gestione, nel monitoraggio e nella rendicontazione.
La semplificazione sarà in realtà parte integrante dello stesso Clean Industrial Deal, il nuovo paradigma con il difficile compito di coniugare decarbonizzazione e competitività. Se nel 2025 il nuovo Patto Ue porterà alla proposta per un’Unione per il risparmio e gli investimenti e a mettere nero su bianco l’obiettivo di riduzione delle emissioni del 90 per cento entro il 2040, parte del Clean Industrial Deal “sarà rendere le industrie chiave in Europa più circolari e sostenibili, facilitando al contempo l’amministrazione e riducendo i costi di conformità per aumentarne la competitività”, si legge nel documento della Commissione europea. Šefčovič ha annunciato ad esempio un pacchetto per l’industria chimica, con una “revisione mirata” del regolamento sulle sostanze chimiche (Reach) per facilitare la registrazione, la valutazione e l’autorizzazione delle sostanze chimiche. “Senza compromettere la sicurezza e la protezione dell’ambiente”, assicura Bruxelles.
Il nuovo obiettivo della Commissione europea è tagliare su tutti i costi amministrativi, non solo sugli oneri di rendicontazione: di almeno il 25 per cento per le grandi imprese e del 35 per cento per le Pmi. Costi che Eurostat ha stimato del valore di 150 miliardi di euro nell’Ue nel 2022: eliminarne un quarto significherebbe liberare risorse per 37,5 miliardi.
“La semplificazione non è la deregolamentazione”, ha chiarito Dombrovskis in conferenza stampa, assicurando che la Commissione europea continuerà ad “attenersi ai propri elevati standard ambientali e sociali” e che non si “allontanerà dai propri obiettivi politici”, compresi quelli incorniciati dal Green Deal. “Stiamo cercando di raggiungere tali obiettivi in modo più efficiente e meno costoso”, ha aggiunto il commissario.
Semplificazione o deregulation? Le reazioni dei gruppi politici
Le parole di Dombrovkis difficilmente basteranno per tranquillizzare i gruppi politici della maggioranza che ha sostenuto l’elezione di von der Leyen a luglio. In particolare socialisti e verdi hanno accolto il programma di lavoro, e l’enfasi sulla semplificazione, con una certa diffidenza. Iratxe Garcia-Perez, capogruppo dei socialdemocratici, ha respinto l’equazione ‘competitività uguale deregolamentazione’ sancita dalla Commissione europea: “Il problema della competitività non può essere la regolamentazione”, ha affermato, avvertendo von der Leyen che potrà contare sulla famiglia S&d “per ridurre la burocrazia e semplificare”, ma non per “deregolamentare e distruggere il percorso fatto per decenni”. Camilla Laureti, eurodeputata del Pd, intervenendo in Aula ha chiarito che “per noi quello che conta è il raggiungimento degli obiettivi che abbiamo già discusso con la presidente Von der Leyen e che valgono ancora. Siamo pronti a discutere con la Commissione per verificare il modo migliore per avanzare: ma non si nasconda un obiettivo di deregolamentazione dietro la parola semplificazione”. Secondo Laureti, “abiamo titoli – omnibus, semplificazione, bussole – ma non sappiamo cosa c’è dietro. Noi abbiamo bisogno di un’Europa forte, compatta, una. Mai come ora le persone chiedono lavoro stabile e giusto salario, alloggio dignitoso, sanità pubblica. Una bussola non basta, ne servono due: sì alla competitività ma sì anche e soprattutto alla bussola sociale”.
Il co-presidente del gruppo dei Verdi, Bas Eickhout, ha lamentato la mera presenza di “proposte di carattere semplificativo” e la mancanza di una “visione per il futuro”.
Tra le compagini europeiste, la leader dei liberali di Renew, Valerie Hayer, ha affermato che il gruppo “sostiene il programma di lavoro”, ma ha denunciato l’assenza di von der Leyen in Aula e soprattutto “alcune inquietudini sulle maggioranze che si delineeranno”, richiamando la presidente alla “responsabilità sulla maggioranza che l’ha eletta”. E in effetti la strategia delineata della Commissione è stata accolta positivamente – oltre che dai Popolari di cui la stessa von der Leyen fa parte – dai Conservatori e Riformisti Europei (Ecr), il gruppo che a luglio si schierò contro la conferma di von der Leyen alla guida dell’esecutivo Ue, ma che dopo un lungo corteggiamento con i popolari è ormai completamente integrato nei giochi di potere di Bruxelles.
Il programma “comprende argomenti su cui concordiamo pienamente”, ha confermato il capogruppo di Ecr, Nicola Procaccini, citando “il rilancio della competitività, l’esigenza della semplificazione, l’attenzione per la sicurezza strettamente legata all’immigrazione illegale”. Il problema, per von der Leyen, è che per il gruppo, capitanato dal meloniano Procaccini il Green Deal altro non è che “l’ubriacatura verde della scorsa legislatura”, su cui “dobbiamo avere il coraggio di correggere bruscamente la rotta”. Ma secondo Ecr “le iniziative woke sono ancora largamente presenti nel programma di lavoro” della Commissione. E dunque, anche da destra l’avvertimento uguale e contrario: “Nel primo caso saremo largamente costruttivi, nel secondo daremo battaglia”, ha tuonato Procaccini.
La presidente della Commissione europea che non ha mai chiarito i confini della sua maggioranza è tirata per la giacca ai suoi estremi: da un lato dai socialisti, dall’altro dai conservatori. Il programma di lavoro per il primo anno del suo mandato, a ben vedere, non fa altro che confermarne l’ambiguità.