Dall’inviato a Strasburgo – Il governo italiano è stretto tra lo scandalo della restituzione del boia libico Almasri e l’inquietante caso dei giornalisti e attivisti spiati attraverso il sofisticato software di Paragon Solutions. L’opposizione compatta chiede a Giorgia Meloni di metterci la faccia e fornire spiegazioni convincenti. Intanto, da Strasburgo emerge una storia che ha tutta l’aria di essere più di una curiosa coincidenza: quella di David Yambio, giovane rifugiato sud sudanese e presidente dell’ong Refugees in Libya, vittima di Almasri a Mitiga e colpito dall’attacco dello spyware.
La sua testimonianza rischia di essere una bomba a orologeria. Invitato al Parlamento europeo di Strasburgo dall’eurodeputato francese dei Verdi Mounir Satouri, ha mostrato la copia della mail con cui Apple l’ha informato che il 13 novembre scorso il suo telefono era stato compromesso da uno spyware. Nell’apparecchio, Yambio aveva informazioni sensibili relative a decine di vittime dei lager libici, che documenta con la sua associazione da quando, nel 2022, riuscì ad arrivare in Italia. Yambio ha annunciato che nei prossimi giorni “verrà pubblicato un rapporto su questo attacco informatico”, a cui sta lavorando con una squadra di investigatori.
Il punto è che nella sua vicenda si intrecciano le prigioni libiche per i migranti, il torturatore Almasri riaccompagnato in Libia dal governo italiano nonostante il mandato di cattura della Corte Penale Internazionale, il tentativo in corso di screditare la Corte de L’Aia, e lo spionaggio da parte di apparati governativi non identificati. “Nel mio Paese, il Sudan, ero già un bambino soldato e sono finito in Libia dopo essere fuggito dal mio Paese. Quando sono arrivato in Libia, sono stato torturato, ridotto in schiavitù e disumanizzato oltre l’immaginabile”, ha raccontato Yambio in una conferenza stampa all’Eurocamera. Il giovane, che ha provato a fuggire dalla Libia attraverso il Mediterraneo centrale per cinque volte, ogni volta è stato “rapito in mare dalla Guardia costiera libica finanziata dall’Ue e riportato indietro”. I respingimenti, ha accusato Yambio, “sono stati supportati da Frontex, che opera nel Mediterraneo centrale e trasmette le informazioni sulle imbarcazioni in difficoltà alle milizie libiche”.
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In uno dei suoi trattenimenti in Libia, nel 2019, è stato “venduto come schiavo” proprio ad Osama Almasri Najim, capo della polizia giudiziaria libica. “Da quel momento, sono stato mandato alla base aerea di Mitiga, dove sono stato costretto a lavorare nell’edilizia e persino al fronte, trasportando munizioni e facendo tutte quelle cose disumane. Ma non solo, sono stato personalmente torturato da lui stesso in diverse forme che non so come descrivere, perché non lo meritavo. Anche coloro che sono morti, eventi ai quali ho assistito, non lo meritavano”, ha proseguito con estrema lucidità Yambio.
È da quel momento che il suo profilo potrebbe cominciare a ‘dare fastidio’. Yambio ha iniziato, già in Libia, a documentare le violazioni dei diritti umani “nella speranza che arrivasse giustizia”, e – da quando ha fondato Refugees in Libya – a “lavorare con istituzioni internazionali, organi giudiziari, inclusa la Cpi, per garantire che possano fare qualcosa perché sono la nostra unica speranza”. Ecco perché la decisione del governo italiano di non consegnare il suo torturatore a L’Aia l’ha “devastato”. Il giovane attivista non usa mezzi termini: “Il primo ministro Giorgia Meloni, i ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e il sottosegretario Alfredo Mantovano sono immediatamente responsabili”, ha attaccato.
L’ultimo elemento, quello comunicato a Yambio con un’informazione verificata da Apple, è il più inquietante. Perché, insieme al fondatore di Mediterranea Saving Humans, Luca Casarini, al direttore di Fanpage, Francesco Cancellato, è stato spiato attraverso un software che che di solito viene fornito ad apparati governativi per rintracciare pericolosi criminali? Yambio ha riformulato la domanda così: “Significa forse che sono in un Paese che mi sta spiando e invia informazioni private ad Almasri o a qualsiasi altro torturatore che mi sta cercando?”.
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In attesa del report annunciato dall’attivista – e dell’indagine che dovrà intavolare la procura di Palermo a cui Casarini ha depositato una denuncia -, anche l’opposizione inizia a chiedersi se i due casi all’apparenza separati non siano in realtà figli della stessa ‘ragione di Stato’, che conduce in definitiva agli accordi in vigore con la Libia per impedire alle persone migranti di raggiungere le coste italiane. In un flash mob organizzato dalla delegazione del Movimento 5 Stelle a Strasburgo, gli eurodeputati hanno mostrato dei poster con il volto della premier e la domanda “Ricattata?”. I pentastellati, insieme al Partito Democratico e Alleanza Verdi Sinistra, stanno insistendo perché Bruxelles intervenga su entrambi i fronti. Hanno chiesto in modo congiunto l’istituzione di una commissione d’inchiesta all’Eurocamera sul caso Paragon, e insistito perché il Parlamento europeo affronti in un dibattito la questione degli attacchi alla Corte penale internazionale.
“Il governo italiano ha le idee confuse, ma è chiaro il tentativo di delegittimare un’istituzione che combatte in modo vigoroso i crimini di guerra”, ha attaccato il pentastellato Gaetano Pedullà. Mentre il capodelegazione Pasquale Tridico ha affermato: “Secondo noi i due casi sono collegati”. Intanto Meloni ha chiesto al ministero della Giustizia di ricucire lo strappo con L’Aia, che ha aperto un’indagine sul governo italiano per la mancata cooperazione nell’arresto di Almasri.