Bruxelles – Le istituzioni di giustizia multilaterale sono sotto attacco. Da più fronti, ma la spallata più forte arriva da Washington, dove Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo che autorizza sanzioni economiche aggressive contro la Corte penale internazionale (Cpi), accusata di “azioni illegittime e senza fondamento”. L’Unione europea fa scudo intorno al Tribunale de L’Aia, ma deve guardarsi le spalle: i tentativi di delegittimare l’operato della Cpi arrivano anche dai Paesi membri. Dalle riserve ad attuare il mandato d’arresto per Benjamin Netanyahu, al caso Al Masri in Italia.
Finora molto cauti nel rispondere alle provocazioni di Trump, il presidente del Consiglio europeo, António Costa, e la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, non hanno potuto evitare il confronto diretto con il tycoon su un tema da cui dipende in definitiva la credibilità della stessa Unione europea. Già ieri (6 febbraio), Costa ha incontrato a Bruxelles Tomoko Akane, giudice giapponese e presidente della Cpi, per ribadirle l’impegno dell’Ue “a porre fine all’impunità e a garantire l’accertamento delle responsabilità per tutte le violazioni del diritto internazionale”.
Oggi, dopo l’annuncio della Casa Bianca, Costa ha commentato con un post su X: “Sanzionare la Cpi minaccia l’indipendenza della Corte e mina il sistema di giustizia penale internazionale nel suo complesso”. Gli ha fatto eco von der Leyen, che poco dopo ha affermato che il Tribunale de L’Aia “deve poter proseguire liberamente la lotta contro l’impunità globale”. La leader Ue ha assicurato: “L’Europa sarà sempre a favore della giustizia e del rispetto del diritto internazionale”.
The ICC guarantees accountability for international crimes and gives a voice to victims worldwide.
It must be able to freely pursue the fight against global impunity.
Europe will always stand for justice and the respect of international law.
— Ursula von der Leyen (@vonderleyen) February 7, 2025
Soddisfatto delle parole della presidente della Commissione Nicola Zingaretti, capodelegazione Pd al Parlamento europeo, che su X scrive: “Bene la posizione di Ursula Von der Leyen a difesa del diritto internazionale. La voglia di impunità dei potenti ci riporta a un passato di soprusi dei più forti contro i più deboli”.
In sostanza, Trump ha firmato un ordine esecutivo che autorizza sanzioni economiche aggressive contro la Corte, accusando l’organismo di “azioni illegittime e senza fondamento” contro gli Stati Uniti e Israele. L’ordine attribuisce al presidente stesso ampi poteri per imporre il congelamento dei beni e il divieto di viaggiare sul territorio americano contro i funzionari della Cpi e i loro familiari, nel caso in cui Washington stabilisse che sono coinvolti in sforzi per indagare o perseguire cittadini degli Stati Uniti e di alcuni alleati.

L’attacco alla Corte da parte degli Stati Uniti – che non ne hanno mai riconosciuto l’autorità e non sono firmatari dello statuto di Roma fondativo della Cpi – arriva solo due giorni dopo la visita di Benjamin Netanyahu alla Casa Bianca, ed è in effetti una rappresaglia per l’emissione di mandati d’arresto per crimini di guerra e contro l’umanità nei confronti del premier israeliano e del suo ex ministro della Difesa Yoav Gallant. Trump ha affermato che la Corte penale internazionale ha “abusato del suo potere” emettendo quei mandati e che “questa condotta maligna minaccia a sua volta di violare la sovranità degli Stati Uniti e mina la sicurezza nazionale e il lavoro di politica estera del governo degli Stati Uniti e dei nostri alleati, compreso Israele”.
Le Nazioni Unite hanno chiesto immediatamente agli Stati Uniti di revocare le sanzioni. La portavoce dell’Ufficio dell’Onu per i diritti umani, Ravina Shamdasani, ha dichiarato: “Deploriamo profondamente le sanzioni individuali annunciate ieri contro il personale della Corte e chiediamo che questa misura venga revocata“. L’Aia ha diffuso un comunicato di condanna alle sanzioni che “danneggiano il suo lavoro giudiziario indipendente e imparziale”, e ha lanciato un appello “ai nostri 125 Stati parte, alla società civile e a tutte le nazioni del mondo affinché siano uniti per la giustizia e i diritti umani fondamentali”.
Israele esulta, Orbán con Trump. Tajani chiede un’inchiesta sulla Cpi sul caso Al Masri
Oltre agli Stati Uniti, della Cpi non fa parte nemmeno Israele, ed infatti Netanyahu ha esultato per una decisione che “difenderà l’America e Israele da un tribunale corrotto, antiamericano e antisemita, che non ha alcuna giurisdizione o base per impegnarsi in azioni legali contro di noi”. Ma l’attacco di Trump alla giustizia internazionale ha già fatto proseliti in Ungheria, dove il primo ministro sovranista Viktor Orbán ha subito messo in dubbio l’adesione dell’Ungheria alla Cpi: “È tempo per l’Ungheria di rivedere ciò che stiamo facendo in un’organizzazione internazionale che è sottoposta a sanzioni da parte degli Stati Uniti”, ha affermato il premier fan numero uno del tycoon newyorkese.
Budapest, come tutte e 27 le capitali europee, fa parte della Corte Penale Internazionale. Ma non è l’unica capitale Ue in cui il sostegno al Tribunale de L’Aia scricchiola. La Francia, pur di non garantire l’arresto di Netanyahu se avesse messo piede nell’Esagono, ha spulciato lo Statuto di Roma in cerca di un’immunità per il premier israeliano. La Germania aveva invocato la “responsabilità storica” nei confronti di Israele a causa della Shoah, e più di recente il premier polacco Donald Tusk ha garantito che non avrebbe arrestato Netanyahu se avesse deciso di partecipare alla commemorazione per l’ottantesimo anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau.

Quel che sta emergendo in Unione europea – al di là delle altisonanti rassicurazioni di Costa e von der Leyen – è una sorta di supporto al diritto internazionale a intermittenza. Solo quando fa comodo, o quando a essere accusato dalla Corte Penale Internazionale è un nemico come Vladimir Putin, dando adito alle accuse di “due pesi e due misure” mosse a Bruxelles dal sud del mondo. Il caso Al Masri, il torturatore libico accusato dalla Cpi, arrestato in Italia e poi riportato in Libia con un volo di stato, è alquanto emblematico. Addirittura il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani, che già nei primi giorni dopo lo scoppio della vicenda aveva dichiarato che “L’Aia non è la bocca della verità, si possono anche avere visioni diverse”, ha ora paventato l’apertura di “un’inchiesta sulla Corte penale”, per chiarire “come si è comportata”.
Italia, Lituania, Repubblica Ceca e Ungheria sono gli unici quattro Stati Ue assenti nella lista dei 79 Paesi che oggi hanno firmato una dichiarazione congiunta contro la decisione di Trump, in cui sostengono che le sanzioni alla Cpi “aumentano il rischio di impunità per i crimini più gravi e minacciare di erodere lo stato di diritto internazionale”.
Gli attacchi alla Cpi e il caso Al Masri all’Eurocamera
Sulla questione interverrà la prossima settimana anche il Parlamento europeo, che ha in agenda un dibattito dal titolo ‘Proteggere il sistema di giustizia internazionale e le sue istituzioni, in particolare la Corte penale internazionale e la Corte internazionale di giustizia’. Il dibattito era stato richiesto dal gruppo della Sinistra europea con un riferimento esplicito al caso Al Masri, ma gli altri gruppi politici hanno optato per un un punto di vista più largo. Sarà battaglia, tra sovranisti trumpiani e difensori del multilateralismo. Ma sarà anche un’altra resa dei conti tra i partiti di governo e l’opposizione italiana.
Un assaggio lo si è già avuto in un incontro con alcuni eurodeputati italiani in vista della sessione plenaria del 10-13 febbraio. Da un lato Annalisa Corrado (Pd), che ha denunciato le “versioni incredibilmente contrastanti” dei ministri Nordio e Piantedosi sulla vicenda Al Masri e il “discredito” da parte del governo della magistratura italiana e internazionale “già sotto attacco di Trump”, e Valentina Palmisano (M5S), per cui il governo Meloni sta cercando “in maniera impacciata e imbarazzante di scaricare tutte le colpe sulla Cpi”. Dall’altro il meloniano Denis Nesci, che ha ribadito la versione per cui “non è stato il governo italiano a scarcerare Al Masri, ma c’è stata un’azione della magistratura e un problema a monte della Corte Penale Internazionale”.