Bruxelles – “Il Green Deal era il nostro piano per la crescita, fu Ursula von der Leyen a presentarlo insieme a Timmermans e adesso di nasconde” dietro la figura dell’ex commissario socialista. Mohammed Chahim, vicepresidente del gruppo dei socialisti (S&D) e membro della commissione Ambiente, scarica la sua rabbia e ancor più scarica la presidente della Commissione europea con il partito popolare (Ppe) annesso. Non sembrano più esserci le condizioni per continuare una convivenza politica, e il principale gruppo di centro-sinistra all’Eurocamera inizia a farsi conti.
Alcuni, di conti, sono già stati fatti. L’Agenda della competitività presentata da von der Leyen non più tardi di una decina di giorni fa è già di per sé una cartina di tornasole. Il Ppe fa una retromarcia non gradita, che viola una patto iniziato cinque anni fa. Il 16 luglio del 2019 la tedesca allora candidata per la guida della Commissione annunciò il Green Deal, una strategia innovativa economico-industriale che divenne la piattaforma di alleanza politica con i gruppi del Parlamento, che sulla base di quel programma le conferirono la fiducia e il mandato di lavorare per cinque anni. A distanza di cinque anni un dietrofront che non piace.
“Il Green Deal è e resta una priorità per noi“, tuona Alex Agius Saliba, vice-presidente del gruppo responsabile per la comunicazione e membro della commissione Mercato interno. “Non accetteremo che la deregolamentazione e limitazione delle nostre ambizioni in nome della competitività”, dice criticando la semplificazione contenuta nell’agenda di competitività della Commissione Ue, una semplificazione considerata eccessiva e pericolosa. Non piace soprattutto il fatto che “l’estrema destra sta spingendo la narrativa secondo cui per essere più competitivi occorra un deregulation e anche smantellare il Green Deal”.

Ai socialisti non piace la retromarcia sulla sostenibilità né, ancor meno, l’occhiolino strizzato ai conservatori dell’Ecr. “Il Ppe che cerca di unirsi all’estrema destra non è un fatto nuovo, ma adesso si sta facendo più chiaro”, continua Saliba. “La bussola per la competitività non può smantellare quanto fatto negli ultimi anni“, il ragionamento suo e del suo gruppo. La nuova legislatura europea è nata male, e sta proseguendo ancora peggio. La tenuta dell’Europa è a rischio, con i socialisti alle prese con una scelta esistenziale: andare avanti con questo Ppe o uscire dalla coalizione e fare opposizione-.
Sembra farsi strada una ‘terza via’, quella di una cooperazione maggiore con le altre forze pro-europeiste all’interno dell’Aula, per fare pressione sui popolari. Questo implica un’alleanza socialisti-liberali-verdi all’interno della teorica alleanza popolari-socialisti-liberali. Il punto è che insieme S&D (136 seggi), Re (77), e Greens (53) non raggiungono i 361 seggi necessari per una maggioranza (insieme si fermano a 266, ben 95 in meno per formare una coalizione alternativa), ma si vuole cercare di fare pressione soprattutto con un’alleanza tra socialisti e liberali sempre per una questione di numeri. Se anche il Ppe volesse cercare alleanze con i conservatori di Ecr, la loro unione non farebbe la maggioranza in Aula (266 seggi su i 361 richiesti).
La questione della collaborazione tra Ppe e Ecr si pone da inizio legislatura, e i socialisti la pongono con forza. Il gruppo ha chiesto e ottenuto un dibattito d’Aula, calendarizzato per la giornata di mercoledì 12 febbraio alle ore 13, proprio sulla cooperazione tra popolari e conservatori e i rischi per la competitività dell’Unione europea. La legislatura europea scricchiola sempre di più, con il Green deal a fare da oggetto della discordia.