Bruxelles – La Groenlandia si avvia a celebrare le prossime elezioni legislative in un momento di tensione geopolitica senza precedenti. E prova a limitare i rischi di influenza esterna nei suoi processi democratici. Di fronte alle minacce più o meno dirette di Donald Trump, le popolazioni inuit ribadiscono di non essere interessate a scambiare un “colonizzatore” con un altro. E Copenaghen si adopera per migliorare la sorveglianza nella regione artica.
Verso le elezioni
Lo scorso martedì (4 febbraio) l’Inatsisartut, il Parlamento monocamerale dell’isola, ha approvato all’unanimità la convocazione delle elezioni legislative per il prossimo 11 marzo. Lo stesso giorno, ha anche adottato una legge che bandisce i finanziamenti esteri ai partiti, per evitare indebite influenze nell’imminente campagna elettorale e “salvaguardare l’integrità politica della Groenlandia“.
L’ultimo appuntamento con le urne era stato nell’aprile 2021 (il mandato dei deputati dura quattro anni), e attualmente il governo guidato dal primo ministro Múte Egede detiene 22 dei 31 seggi totali. La maggioranza di centrosinistra è composta dai 12 deputati di Inuit Ataqatigiit (Ia), il partito del premier, più i 10 di Siumut. Entrambe le formazioni sono favorevoli all’indipendenza, ma mentre la prima (che difende da sinistra una posizione nazionalista) si batte per un distacco più rapido possibile dalla corona danese, i socialdemocratici spingono per un allontanamento graduale.

La Groenlandia si trova sotto il controllo del regno di Danimarca dal 1721. Dal 1814 al 1953 è stata una colonia di Copenaghen, mentre nel 1979 ha ottenuto lo status di territorio autonomo. Dal 2009 a Nuuk (la capitale groenlandese) è riconosciuto il diritto di dichiarare l’indipendenza, mentre la Danimarca è responsabile di garantire la sicurezza dell’isola, che nonostante le ampie autonomie non ha una voce in politica estera.
Con ogni probabilità, la campagna elettorale si impernierà principalmente proprio sul tema dell’indipendenza. Nel tempo una porzione crescente della popolazione groenlandese (che ammonta in totale a meno di 57mila abitanti) si sta schierando a favore della separazione da Copenaghen, un obiettivo per cui rimangono tuttavia numerosi ostacoli pratici, soprattutto di natura economica. Ma sono stati i recenti interventi a gamba tesa del neo-rieletto presidente statunitense Donald Trump ad aver riacceso con urgenza la questione.
Trump e la Groenlandia
Appena un mese fa, il tycoon newyorkese aveva detto di non poter escludere il ricorso alla “coercizione militare o economica” per ottenere il controllo del territorio, compiendo un passo in più rispetto alle idee ventilate durante il suo primo mandato di “acquistare” l’isola artica dalla Danimarca.
“Siamo nel bel mezzo di un periodo serio“, ha scritto il premier Egede sui social, “un momento che non abbiamo mai vissuto nel nostro Paese”. “Non è questo il momento per le divisioni interne“, ha aggiunto. Precedentemente, in risposta alle sparate di Trump, aveva sottolineato che “la Groenlandia è nostra” e che la sovranità del territorio artico non è in vendita.
Stando ad un sondaggio di fine gennaio, l’84 per cento dei groenlandesi voterebbe a favore della separazione dalla corona danese in un potenziale referendum, mentre l’85 per cento non vuole lasciare Copenaghen per finire sotto il controllo di Washington. Se posti di fronte alla scelta alternativa tra la cittadinanza danese e quella statunitense, invece, le preferenze per la prima si attestano al 55 per cento mentre quelle per la seconda si fermano all’8 per cento.

Riguardo all’interesse dimostrato dal nuovo (si fa per dire) inquilino della Casa Bianca per la Groenlandia, tuttavia, la situazione è quella di un sostanziale pareggio: il 43 per cento lo ritiene “un’opportunità“, mentre per il 45 per cento rappresenta “una minaccia“.
Per quanto l’isola artica disponga di ampi giacimenti minerari non ancora sfruttati (che fanno gola tanto a Washington quanto a Bruxelles), la sua economia dipende principalmente dalla pesca e dalle sovvenzioni della Danimarca. Questa realtà si riflette in un altro dato evidenziato dalla rilevazione: il 45 per cento degli intervistati voterebbe per l’indipendenza solo nel caso in cui non produca “impatti negativi” sul proprio standard di vita.
La risposta degli inuit
L’Inuit circumpolar council (Icc) – l’organismo che rappresenta le popolazioni inuit di Alaska, Canada, Chukotka (la regione più orientale della Russia, separata dall’Alaska dallo stretto di Bering) e Groenlandia (dove costituiscono quasi il 90 per cento della popolazione) – ha ribadito recentemente che “non esiste qualcosa come il miglior colonizzatore“, sottolineando che i suoi membri non intendono “discutere su quale Stato sia migliore o peggiore per vivere” ma, piuttosto, preferiscono “discutere su come migliorare le vite, i mezzi di sussistenza, il benessere e l’autodeterminazione degli inuit in tutte le nostre regioni“.
“Siamo consapevoli che l’attuale situazione geopolitica è impegnativa”, si legge nella dichiarazione dell’Icc, “ma i tempi sono cambiati da quando le terre degli inuit erano semplici beni che potevano essere comprati e venduti“. “Nel mondo di oggi, siamo parte attiva nel processo decisionale che riguarda le nostre terre e le nostre risorse”, continua il comunicato. “Abbiamo superato i tempi dei tipici atteggiamenti coloniali di superiorità“, prosegue l’Icc, per concludere sostenendo che “non ci lasceremo dividere dagli interessi degli Stati“.
Copenaghen corre ai ripari
Del resto, l’aggressività del presidente statunitense ha fatto aprire più di qualche occhio anche a Copenaghen. Storicamente ben poco integrazionista, il governo danese sembra ora riconsiderare i vantaggi dell’adesione ad un’Unione europea capace di farsi valere. “Abbiamo bisogno di un’Europa più forte e più risoluta, sempre più in grado di difendere e promuovere l’Europa e gli interessi europei”, ha dichiarato la premier Mette Frederiksen lo scorso 28 gennaio.
Earlier today PM Mette Frederiksen met with @Bundeskanzler in Berlin to discuss stronger European cooperation. Important to continue close German-Danish coordination pic.twitter.com/jpPYA4HP57
— Statsministeriet (@Statsmin) January 28, 2025
“Dobbiamo assumerci maggiori responsabilità per la nostra sicurezza“, ha aggiunto, parlando ad una conferenza stampa congiunta col cancelliere tedesco uscente Olaf Scholz, il quale ha sottolineato come “i confini non devono essere spostati con la forza“.
Detto, fatto. Negli scorsi giorni, Copenaghen ha annunciato piani per 14,6 miliardi di corone (poco meno di 1,96 miliardi di euro) con la Groenlandia e le isole Faroe – un arcipelago, anch’esso danese, che si colloca tra la Scozia e l’Islanda – per “migliorare la sorveglianza e la tutela della sovranità” nelle regioni interessate, incluso l’utilizzo di tre nuove navi rompighiaccio per il trasporto di elicotteri e droni e il miglioramento del monitoraggio satellitare nell’area dell’Artico.