Bruxelles – Era solo questione di tempo. Il tempo del “cordone sanitario“, eretto dalle forze centriste ed europeiste per tenere l’estrema destra fuori dalle stanze dei bottoni, è ormai un ricordo, relegato nel passato. Mentre sembra maturo quello di una collaborazione tra le varie anime della destra europea, da quella (teoricamente) moderata a quella più estrema. Cioè quanto hanno proposto i Conservatori ai colleghi Popolari per ridisegnare gli equilibri all’Europarlamento.
Fino a qualche anno fa, quella di una collaborazione tra i diversi gruppi della destra all’Eurocamera di Strasburgo sarebbe sembrata fantascienza. L’unica maggioranza pensabile, che per decenni ha governato l’Ue, era quella centrista composta dalle famiglie dei Popolari (Ppe), Socialisti (S&D) e liberali (prima Alde, poi Renew), puntellata all’esterno dai Verdi nella scorsa legislatura.
Ma oggi (30 gennaio) la fantascienza è diventata verosimile, dopo che i Conservatori e riformisti dell’Ecr – capitanati in Aula dal meloniano Nicola Procaccini e dal polacco Patryk Jaki – hanno inviato una lettera ai colleghi cristiano-democratici, tendendo loro la mano per “costruire ponti attraverso le divisioni partitiche e produrre risultati che beneficino i cittadini e le imprese europee”. Un cambio di rotta in questa decima legislatura, dunque, rispetto alla precedente che, recita la missiva, era “pesantemente influenzata dalla direzione stabilita da una maggioranza di centro-sinistra“.
I Conservatori, al cui vertice c’è stato un avvicendamento a metà mese tra la premier italiana Giorgia Meloni e l’ex primo ministro polacco Mateusz Morawiecki, hanno peraltro suggerito di aprire la porta anche ai Patrioti (PfE), la creatura politica di Viktor Orbán che con 84 deputati è la terza formazione dell’emiciclo dietro a Popolari e Socialisti.
Si tratta, di fatto, di una risposta all’appello lanciato solo qualche giorno fa da Jordan Bardella, presidente del Rassemblement national (Rn) francese e capogruppo PfE a Strasburgo, alle destre dell’Aula – inclusa l’ultradestra dell’Europa delle nazioni sovrane (Esn) – per unire le forze e stracciare definitivamente quel che resta del Green deal.
Numeri alla mano, questi quattro gruppi detengono insieme la maggioranza assoluta dei seggi: 188 per il Ppe, 84 per i Patrioti, 78 per i Conservatori e 25 per l’Esn. Certo, in politica la matematica non è tutto. Ma c’è da dire che mai come ora l’Europa è stata così spostata a destra, su tutti i livelli. Il che rende, appunto, meno fantascientifica un’eventualità come quella ventilata in questi giorni.
Non solo esiste, tecnicamente, una maggioranza alternativa al Parlamento (quella ribattezzata “Venezuela” e già vista all’opera in diverse occasioni tra cui, in tema Green deal, quando il Ppe ha provato ad annacquare il regolamento Ue sulla deforestazione), ma anche l’esecutivo comunitario non ha mai visto una preponderanza così netta di commissari di destra, incluso il primo di sempre in quota Ecr nella persona del vicepresidente Raffaele Fitto.
E non finisce qui. Anche a livello nazionale lo Zeitgeist politico soffia a destra con forza. Al netto dei governi già in carica (da quello italiano, il cui azionista di maggioranza è un partito che ha ancora nel simbolo la fiamma tricolore dell’Msi, a quello olandese, in cui è entrata per la prima volta l’estrema destra xenofoba ed euroscettica del Pvv, solo per fare due esempi), i più recenti sviluppi nei due Stati membri più grandi non lasciano spazio a dubbi sulla traiettoria che sta seguendo il Vecchio continente.
A Berlino, Alternative für Deutschland (pompata anche da Elon Musk, che poco prima di esibirsi in un doppio saluto nazista all’insediamento di Donald Trump ne ha pubblicamente esaltato la leader Alice Weidel) viaggia oltre il 20 per cento dei consensi nei sondaggi per le elezioni del mese prossimo, e giusto questa settimana il probabile futuro cancelliere Friedrich Merz (Cdu) ha fatto tremare i polsi a mezza Europa allineandosi (senza volerlo, dice lui) con il partito post-nazista per far approvare al Bundestag un paio di documenti non vincolanti che chiedevano un giro di vite sull’immigrazione irregolare.
A Parigi, il Rn di Marine Le Pen – arrivato primo, la scorsa estate, sia alle europee sia alle legislative (considerando i risultati ottenuti dai singoli partiti) – tiene in scacco l’Assemblée nationale dove fa il bello e il cattivo tempo, e ha già fatto crollare il governo di Michel Barnier, il più breve della Quinta Repubblica, mentre continua a influenzare pesantemente la politica transalpina. Con tutta probabilità, infine, anche a Vienna arriverà alla cancelleria per la prima volta dal dopoguerra il leader della destra post-nazista dell’Fpö, Herbert Kickl.
Per il momento, i Popolari hanno risposto picche alla chiamata alle armi di Bardella. Ma, come visto nel voto sulla deforestazione, il Ppe ha già lasciato cadere la maschera rispetto agli ambiziosi obiettivi climatici che l’Ue si è data negli ultimi cinque anni, sotto l’impulso della presidente della Commissione Ursula von der Leyen che proviene proprio dalle sue fila. E che ora, con la nuova Bussola per la competitività, appare altrettanto pronta a “ridiscutere” il percorso verso la neutralità carbonica per venire incontro alle esigenze delle imprese, all’insegna della semplificazione, della flessibilità e del pragmatismo.
Non è certo un mistero, dopotutto, l’intenso flirt che da mesi coinvolge Ppe ed Ecr, portato avanti tanto da von der Leyen quanto dal capo-padrone dei Popolari Manfred Weber. Fin da prima delle europee dello scorso giugno, i cristiano-democratici avevano aperto alla collaborazione con “gli elementi sani” della famiglia conservatrice: vale a dire chi è pro-Ue, fedele alla Nato e rispettoso dello Stato di diritto.
Così come è evidente il feeling tra la presidente della Commissione e la premier italiana, che ha visto la sua linea (dura) sull’immigrazione fare infine breccia a Bruxelles. A questo punto, la domanda sorge spontanea: quanto ci metterà la charme offensive di Meloni & co. per conquistare i cuori dei Popolari?