Bruxelles – Sarà la “Stella polare” dell’Ue per i prossimi cinque anni. Che sembrano annunciarsi piuttosto diversi dai cinque appena trascorsi, quelli del Green deal. La Bussola della competitività presentata oggi dalla Commissione europea contiene una lunga lista dei desideri per far tornare competitivo il Vecchio continente e non perdere la sfida globale contro Cina e Stati Uniti.
La nuova dottrina economica
Durante la conferenza stampa di stamattina (29 gennaio) al Berlaymont, in cui ha presentato la Bussola della competitività, la presidente dell’esecutivo comunitario Ursula von der Leyen ha sottolineato che “l’Europa ha tutto ciò che serve per avere successo nella corsa al vertice” dell’economia mondiale ma che “dobbiamo correggere le nostre debolezze per recuperare la competitività“.
Le ha fatto eco il vicepresidente esecutivo per la Prosperità e la Strategia industriale Stéphane Séjourné, secondo cui quella pubblicata oggi è la “dottrina economica per i prossimi cinque anni“, una dottrina semplice che “può essere riassunta in una parola chiave: competitività“. Siamo di fronte, dice, ad “un cambiamento di mentalità per l’Europa e gli europei”, con il quale Bruxelles punta a rendere l’Unione “più prevedibile, mantenendo al contempo il corso del nostro modello europeo: decarbonizzato, sociale e rispettoso dei nostri valori“.
It is time to restart Europe’s innovation engine.
We have the Compass.
We have the political will.
Now, what matters is speed and unity.
Because the world is not waiting for us ↓ https://t.co/4iollrSWxi
— Ursula von der Leyen (@vonderleyen) January 29, 2025
Sì, perché – promettono entrambi dal palco di fronte ai giornalisti – gli obiettivi del Green deal restano in piedi. Le rassicurazioni sono indirizzate soprattutto a chi ha mostrato diffidenza nei confronti dei provvedimenti cosiddetti “Omnibus”, cioè emendamenti (potenzialmente anche controversi) alla legislazione comunitaria vigente che verranno messi insieme in grossi pacchetti, come accade anche in Italia.
Il timore diffuso è che si vogliano mettere le mani appunto sulle complesse norme “verdi” faticosamente approvate durante il primo mandato di von der Leyen, contro cui aziende, imprese e una parte crescente della politica europea si stanno rivoltando. Gli obiettivi rimangono, hanno ripetuto sia von der Leyen sia Séjourné, ma sul percorso per raggiungerli si aprirà ora una discussione all’insegna di altre due parole magiche: flessibilità e pragmatismo.
I tre pilastri fondamentali
Mettendo in fila le raccomandazioni dell’ex numero uno della Bce, la Bussola si articola lungo tre “pilastri” principali: colmare il divario nel campo dell’innovazione, far procedere di pari passo (un passo svelto, possibilmente) la decarbonizzazione e la competitività e, infine, ridurre le dipendenze dall’estero e aumentare la sicurezza dell’Unione. In tutto, da qui alla fine del 2026 la Commissione prevede circa una ventina di proposte legislative per mettere l’Ue nelle condizioni di affrontare il futuro (che poi è il presente) della concorrenza globale.
Si parte, in materia d’innovazione, con le iniziative Ai gigafactories ed Apply Ai per guidare lo sviluppo e l’adozione industriale dell’intelligenza artificiale nei settori più strategici, che comprenderanno piani d’azione per i materiali avanzati e le tecnologie quantistiche, biotecnologiche, robotiche e spaziali, cui si affiancheranno una strategia per le start-up e lo sviluppo di un cosiddetto 28esimo regime giuridico per semplificare le norme che riguardano le aziende, attualmente frammentate tra 27 legislazioni nazionali.
Quanto alla decarbonizzazione, il Clean industrial deal definirà un approccio basato sulla competitività, mentre l’Affordable energy action plan servirà a calmierare i costi energetici. L’Industrial decarbonisation accelerator act mirerà ad estendere e facilitare i permessi ai settori in transizione, che si aggiungerà ad altri piani d’azione su misura per altri settori ad alta intensità energetica.
L’ultimo pilastro, quello della riduzione delle dipendenze e dell’aumento della sicurezza, passa attraverso dei “partenariati efficaci” incentrati su accordi commerciali e investimenti puliti, con l’obiettivo di garantire una fornitura affidabile di materie prime, energia e tecnologie pulite e carburanti sostenibili. In questo ambito dovrebbe anche venire introdotta una “preferenza europea” con la revisione delle norme sugli appalti pubblici.
I cinque imperativi trasversali
Ora, per mettere in atto queste priorità, la Commissione ha individuato cinque “abilitatori” orizzontali che dovranno informare le sue proposte legislative e che possono essere riassunti nei seguenti imperativi: semplificare, eliminare le barriere congenite nel mercato interno, finanziare la competitività, promuovere le competenze del futuro e rendere più efficace il coordinamento tra il livello comunitario e quello nazionale.
Semplificazione è del resto il mantra che risuona a Bruxelles – soprattutto tra gli ambienti più insofferenti nei confronti del Green deal e dell’ipertrofia burocratica comunitaria – già dall’ultimo tratto della precedente legislatura europea (2019-2024). Così, la Commissione punta ora a ridurre significativamente gli obblighi di rendicontazione sulla sostenibilità in capo alle imprese, inclusi quelli relativi a due diligence e tassonomia. Calcolatrice alla mano, gli esperti dell’esecutivo Ue stimano in circa 37,5 miliardi di euro il risparmio che dovrebbe venire alle aziende del Vecchio continente dall’eliminazione degli oneri amministrativi ritenuti eccessivi, che dovrebbe trovare attuazione proprio nel provvedimento Omnibus (o in vari provvedimenti del genere) cui si accennava prima.
Quanto all’eliminazione delle barriere nel mercato unico, che va a braccetto con il nodo dei finanziamenti, la Commissione ha in cantiere una strategia orizzontale e soprattutto la costruzione di un’Unione del risparmio e degli investimenti – che è poi l’Unione dei mercati dei capitali di cui si parla da anni e che non ha mai visto la luce – per creare nuovi prodotti finanziari europei e trattenere su questo lato dell’Atlantico i risparmi e gli investimenti privati che ad oggi fluiscono invece verso la giurisdizione statunitense. Quel che è chiaro, comunque, è che l’esecutivo comunitario vuole mobilitare i capitali privati accanto agli investimenti pubblici perché, sostiene, questi ultimi da soli non potranno bastare a finanziare le priorità dell’Ue.
Inoltre, von der Leyen intende promuovere le competenze e i lavori di qualità per stimolare l’economia europea e renderla “a prova di futuro”. Infine, va realizzato un miglior coordinamento delle politiche tra Bruxelles e i Ventisette. Per raggiungere quest’obiettivo verrà istituito uno strumento di coordinamento della competitività, il cui ruolo sarà garantire l’attuazione a livello nazionale degli obiettivi politici comunitari, identificare i progetti d’interesse comune che coinvolgono più Stati membri e gestirne i finanziamenti.
Per sostenere l’attuazione delle misure di questo strumento, la Commissione vorrebbe introdurre nel prossimo quadro finanziario pluriennale (Qfp), che coprirà il settennato 2028-2034 (e che, pare, vedrà delle grosse novità rispetto ai periodi di programmazione precedenti), un Fondo per la competitività che dovrebbe sostituire diversi strumenti finanziari che sono già attivi in questi ambiti i quali, spiegano i tecnici del Berlaymont, non solo generano confusione ma sono anche difficili da attivare. Ma più che nuove risorse, si tratterà principalmente di rimodulare quelle che le cancellerie già versano al bilancio comune. Anche se, garantisce von der Leyen, i negoziati per il prossimo Qfp (che dovrebbero cominciare nella seconda metà di quest’anno) dovrebbero prendere in considerazione anche l’introduzione di nuove risorse proprie.