Bruxelles – Nel suo nuovo ruolo da vicepresidente esecutivo della Commissione europea, Raffaele Fitto continua a sostenere la necessità di riformare la politica di coesione, ma non ha ancora fornito dettagli sui cambiamenti che dovranno interessare uno dei più grossi capitoli di spesa del bilancio comunitario (circa un terzo dei fondi Ue). Continua a mostrarsi conciliante con gli enti locali, rassicurandoli sul ruolo centrale che continueranno a mantenere anche nel prossimo periodo di programmazione, ma sottolinea che qualcosa dovrà cambiare, senza indicare ancora bene cosa.
In audizione stamattina (28 gennaio) alla commissione Sviluppo regionale (Regi) dell’Eurocamera, il vicepresidente esecutivo ha ribadito per l’ennesima volta che la politica di coesione va “modernizzata”. La “prima priorità” per Fitto sarà dunque la revisione intermedia della politica di coesione, un esercizio che avrà luogo quest’anno – le autorità nazionali dovranno far pervenire alla Commissione le proprie valutazioni su come migliorarla (richieste dallo stesso commissario il mese scorso) entro fine marzo – per correggere il tiro da qui alla fine dell’attuale periodo di programmazione, iniziato nel 2021 e in scadenza nel 2027, e reindirizzare le risorse dove necessario. Si tratterà, nelle parole del commissario, di “un’opportunità per accelerare l’utilizzo dei fondi disponibili e allineare maggiormente i finanziamenti alle nuove e crescenti esigenze“.
Verso una riforma
Ora, come ampiamente anticipato negli scorsi mesi e come confermato dallo stesso Fitto durante la sua prima audizione davanti alle commissioni congiunte Regi e Coter (gli organi competenti in materia all’interno dell’Europarlamento e del Comitato delle regioni) poco dopo essere entrato in carica, la politica di coesione subirà nel post-2027 dei cambiamenti che si annunciano sostanziali.
Tuttavia non ci sono ancora indicazioni formali sull’entità di tali riforme, che interesseranno in realtà l’intero quadro finanziario pluriennale (Qfp) 2028-2034: per ora ci sono solo indiscrezioni giornalistiche, mai smentite ufficialmente dalla Commissione.
Al #Parlamentoeuropeo ho avuto un proficuo scambio di opinioni con i parlamentari della Commissione per lo sviluppo regionale sul futuro della politica di coesione. Insieme, abbiamo raggiunto già risultati importanti, come l’adozione dei regolamenti RESTORE e BridgeforEU. pic.twitter.com/QfyBRkKGoE
— Raffaele Fitto (@RaffaeleFitto) January 28, 2025
Quanto basta perché i rappresentanti delle autorità locali levassero gli scudi già in autunno, chiedendo garanzie affinché la nuova politica di coesione – che i rumours vorrebbero rimodellata sull’esempio del Recovery and resilience facility, vale a dire strutturata intorno a singoli programmi nazionali (al posto delle centinaia di programmi comunitari attivi attualmente, ripartiti tra gli Stati membri) le cui risorse verrebbero utilizzate a discrezione più o meno libera dei governi, a patto di realizzare le riforme concordate preventivamente con Bruxelles – continui a seguire “un approccio basato sul territorio” e a rispettare i princìpi cardine con cui è nata, cioè quelli di partenariato, gestione condivisa e governance multilivello.
Il ruolo delle Regioni
Princìpi che Fitto ha confermato oggi di voler preservare “garantendo il coinvolgimento diretto e attivo degli enti locali e regionali“, nell’ennesimo ramoscello d’olivo teso agli amministratori. Il dubbio che probabilmente continua a serpeggiare tra questi ultimi è però se non si tratti piuttosto di uno specchietto per le allodole o, peggio, una cortina di fumo per nascondere piani di riforma che vanno in tutt’altra direzione.
Lui intanto getta acqua sul fuoco: “Non esiste una centralizzazione, per quanto mi riguarda”, si è schernito, ribadendo che “non c’è mai stata in nessun atto e in nessuna proposta” da parte dell’esecutivo comunitario. Al massimo, “ci può essere un lavoro nei confronti degli Stati membri e delle autorità locali per adeguare l’attuale politica di coesione a quelle che sono le nuove esigenze“, ma da qui a nazionalizzare l’intera politica regionale ce ne corre, ha sostenuto, rimarcando il “ruolo fondamentale” delle amministrazioni e delle autonomie locali.
“Conosco bene il significato e il ruolo delle autorità locali e delle Regioni e penso che sia molto importante continuare a lavorare in questa direzione“, ha detto ai deputati riferendosi al suo trascorso da governatore in Puglia, e annunciando contestualmente “un’agenda per le città che delinei l’approccio strategico dell’Ue allo sviluppo urbano sostenibile” i cui punti centrali saranno “alloggi, azione climatica, digitalizzazione, mobilità, inclusione sociale e uguaglianza”.
Cosa cambierà?
Detto questo, però, alcune cose “vanno corrette” e bisogna abbandonare certi tabù, ha chiarito, “perché non possiamo pensare di proseguire nel difendere a livello generale la politica di coesione senza dare delle risposte ai problemi che abbiamo a partire da quello del basso assorbimento” dei fondi comunitari, una delle criticità maggiori soprattutto in alcune regioni come il Mezzogiorno italiano. “Per migliorare l’impatto della politica di coesione, abbiamo bisogno di un modello di attuazione basato sui risultati, sulla buona governance e su istituzioni forti“, ragiona Fitto. Un modello che ricorda appunto, almeno alla lontana, quello dell’Rrf e dei piani nazionali di ripresa e resilienza.
L’interrogativo ancora da sciogliere resta dunque quello relativo all’equilibrio che la Commissione intende trovare tra centralizzazione e sussidiarietà nel prossimo Qfp e, di conseguenza, nella prossima programmazione regionale per il 2028-2034. Marzo è dietro l’angolo ma nessuno ha ancora visto una proposta concreta e strutturata da cui partire per ridiscutere il futuro della politica di coesione.
Di sicuro, ha evidenziato Fitto, servirà un grado maggiore di flessibilità “per affrontare le sfide emergenti e garantire allo stesso tempo uno sviluppo regionale equilibrato a lungo termine”, al fine di garantire che tutte le aree del Vecchio continente godano di adeguati indici di sviluppo socio-economico e per rendere concreto quel “diritto di restare” nella propria terra di cui ha fatto una bandiera personale.
E il concetto di flessibilità va a braccetto con quello di semplificazione. “La complessità non è solo un costo“, ha ricordato ai suoi interlocutori, ma “può rappresentare un deterrente, motivo per cui la semplificazione è essenziale per rendere il sostegno più accessibile”. L’altra priorità del vicepresidente esecutivo nel disegnare la politica di coesione post-2027 sarà dunque quella di “ridurre i costi amministrativi“.
Del resto, l’importanza che la riduzione della complessità e dell’ipertrofia legislativa e burocratica rivestiranno nel secondo mandato di Ursula von der Leyen è confermato dal fatto che tra i nuovi portafogli del Collegio ci sia proprio quello all’Attuazione e la semplificazione, affidato (insieme a quello relativo all’Economia e la produttività) al commissario Valdis Dombrovskis.