Bruxelles – Un cuore granata, un amore per i viola. Torino e Fiorentina condividono un gemellaggio storico e consolidato, tante storie di calcio, e all’interno di questa quella di Vittorio Staccione. Nato a Torino il 9 aprile 1904, una passione per il football e per il Toro, Staccione muore il 16 marzo 1945 a Gusen, sotto-campo del campo di concentramento di Mauthausen per la sua attività contraria all’allora regime fascista. Muore senza un nome, ma con indosso solo un numero: 59160. E’ questa la matricola che segnava la fine della natura umana dell’uomo dentro i lager.
Nella capitale dell’Ue che ha fatto del Toro un patrimonio europeo vestendo uno dei simboli cittadini con la maglia granata, e con ‘Unione europea che oggi ricorda gli orrori della Storia, c’è anche lui. Nello sport un eroe a suo modo. Con il Torino uno scudetto, quello poi revocato della stagione 1926-27. Le accuse di combine da parte di un membro della dirigenza vanificano i sogni di gloria granata. La squadra si rifarà la stagione successiva, ma Staccione sarà protagonista di un’altra impresa: la promozione nella massima serie con la Fiorentina (1930-31), squadra in cui nel frattempo si è trasferito e di cui diventa pilastro. Da bandiera torinista a idolo fiorentino: la parabola di Staccione si può riassumere così.
Smette di giocare a calcio verso la metà degli anni Trenta, e torna nella ‘sua’ Torino, per lavorare come operaio nella Fiat. Simpatie socialiste, sposa le questioni operaie e il primo marzo 1944 partecipa agli scioperi nelle fabbriche. Una militanza che gli vale l’arresto da parte dell’Ovra, la polizia segreta fascista, e l’invio a Mauthausen, da cui non è mai tornato. Farà in tempo a conoscere Enzo Castellani e Ferdinando Valletti, anch’essi nomi noti del calcio italiano, anch’essi deportati. Solo Valletti ce la farà a tornare.
Torino l’ha ricordato dedicandogli una pietra d’inciampo nel 2019, lo stesso anno in cui quella di Staccione diviene memoria collettiva grazie alla pubblicazione di un libro a lui dedicato, ‘Il mediano di Mauthausen’, (Francesco Veltri, Diarko editore). Nel giorno della memoria la storia di Staccione è anche un monito per l’Italia, le sue leggi razziali, le sue responsabilità storiche.