Bruxelles – Alla fine il via libera al rinnovo delle sanzioni contro la Russia di Vladimir Putin è arrivato senza grossi patemi, senza che nessuno Stato membro (leggi: l’Ungheria) ponesse il proprio veto e facesse deragliare il processo. Se ne riparla tra sei mesi, mentre l’Alta rappresentante vorrebbe avere pronto il 16esimo pacchetto di misure restrittive entro il prossimo 24 febbraio, al terzo anniversario dell’invasione dell’ex repubblica sovietica. I ministri degli Esteri Ue hanno inoltre approvato la sospensione del regime agevolato per i visti diplomatici dei funzionari georgiani, nel tentativo di colpire le autorità di Tbilisi senza danneggiare le aspirazioni europeiste della popolazione.
Scampato pericolo (per ora)
Disco verde al Consiglio Affari esteri riunitosi oggi (27 gennaio), dopo un breve “caso” politico che ha visto il primo ministro ungherese Viktor Orbán minacciare il veto sul rinnovo delle misure restrittive contro Mosca. Veto che avrebbe rischiato di far saltare il banco facendo sfumare in un colpo solo l’intero regime sanzionatorio messo faticosamente in piedi dai Ventisette in questi 35 mesi di guerra (anche se le prime sanzioni risalgono al 2014, quando la Russia annetté unilateralmente la Crimea e sostenne i separatisti nel Donbass), codificato in 15 pacchetti adottati – e rinnovati – con l’unanimità delle cancellerie.
Le misure attualmente in vigore verranno dunque prorogate di altri sei mesi, cioè fino al 31 luglio. Si tratta di un ampio spettro di misure settoriali, tra cui restrizioni su commercio, finanza, energia, tecnologia e beni a doppio uso (civile e militare), industria, trasporti e beni di lusso, ma anche sulle importazioni di prodotti energetici (soprattutto idrocarburi) e sull’accesso degli istituti di credito russi al sistema finanziario internazionale (lo Swift), tra le altre cose. L’Alta rappresentante Ue per la politica estera Kaja Kallas, che presiede il Consiglio Esteri, ha salutato con soddisfazione la decisione odierna, ribadendo per l’ennesima volta che “la Russia deve pagare per i danni che sta provocando” in Ucraina.

In questo modo, sono stati messi al sicuro (almeno per i prossimi sei mesi) anche i famigerati “extraprofitti” dai capitali russi immobilizzati, cioè quei fondi della Banca centrale di Mosca – per un ammontare di oltre 200 miliardi di euro – attualmente congelati nella giurisdizione dei Ventisette, che fanno da “cassa” per il maxi-prestito deciso la scorsa estate dai Paesi del G7. Bruxelles aveva messo a punto il meccanismo a settembre, mentre la prima tranche da 3 miliardi è stata inviata a Kiev tre settimane fa.
Le “garanzie” all’Ungheria
Le minacce del premier magiaro avevano tenuto Bruxelles col fiato sospeso per tutto il weekend, dopo che venerdì scorso (24 gennaio) gli ambasciatori dei Ventisette non erano riusciti a trovare un accordo sul rinnovo del regime sanzionatorio da sottoporre per l’approvazione ai ministri degli Stati membri, che hanno dunque dovuto discuterne stamattina.
Per non apporre il proprio veto, Budapest aveva chiesto delle garanzie sulle forniture di gas, tema sul quale ha recentemente alzato la voce (insieme alla Slovacchia di Robert Fico) in seguito alla decisione di Kiev di non rinnovare i contratti con Gazprom per il transito del metano russo attraverso l’Ucraina.
Tali garanzie sono giunte oggi sotto forma di una dichiarazione di “solidarietà energetica” con i Paesi senza sbocco sul mare sottoscritta dalla Commissione europea e dall’Alta rappresentante. Nel documento – privo di valore giuridico vincolante – l’esecutivo comunitario riconosce che “l’integrità delle infrastrutture energetiche che riforniscono gli Stati membri dell’Ue è una questione di sicurezza” per l’intera Unione e dichiara di aspettarsi “che tutti i Paesi terzi la rispettino”, dicendosi pronto a “proseguire le discussioni” con Kiev “sulla fornitura di gas all’Europa attraverso il sistema di gasdotti in Ucraina” e annunciando l’adozione delle misure necessarie “per proteggere le infrastrutture energetiche critiche”, dai cavi elettrici (finiti nuovamente sotto attacco nel Baltico) agli oleodotti e ai gasdotti.

Poco più che un contentino al governo ungherese, insomma (come è parsa confermare la stessa Kallas ai giornalisti), che ha permesso a Budapest di salvare la faccia e tornare sui propri passi senza far deragliare l’intero impianto sanzionatorio a dodici stelle. Durante il weekend, del resto, anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha aperto alla possibilità di far transitare attraverso il suo Paese in direzione degli Stati Ue il gas azero, una mossa che aveva precedentemente escluso perché, diceva, anche quello venduto da Baku è in realtà gas russo.
La sospensione dei visti diplomatici georgiani
Parallelamente, i ministri degli Esteri hanno deciso oggi anche la sospensione di alcune parti dell’accordo di facilitazione dei visti tra Ue e Georgia, per colpire i diplomatici e i funzionari del Paese caucasico, inclusi i rappresentanti dei governi e dei parlamenti nazionali e regionali e delle alte corti. “La decisione è stata adottata oggi”, ha dichiarato Kallas al termine della riunione, aggiungendo che “spetta ora agli Stati membri darle attuazione nel rispetto dei propri ordinamenti giuridici”.
Si tratta sostanzialmente di una mossa politica (su cui a Bruxelles si lavora dal mese scorso), visto che molte delle persone potenzialmente interessate dalle misure dispongono probabilmente di altri passaporti, ma segnala la volontà di colpire le autorità georgiane senza danneggiare la popolazione, che continuerà a beneficiare del regime agevolato sui visti stipulato nel 2011 e aggiornato nel 2017.

Nel mirino dei Ventisette ci sono soprattutto i vertici di Sogno georgiano, il partito di governo al potere dal 2012, ritenuto responsabile dell’arretramento democratico di Tbilisi – che si sta allontanando sempre più dall’Ue (alla cui adesione è costituzionalmente vincolata) avvicinandosi sempre più all’orbita del Cremlino – e della violenta repressione contro i manifestanti pacifici, che ormai da due mesi protestano ininterrottamente per le strade della capitale e delle maggiori città, nonché contro i giornalisti indipendenti come Mzia Amaglobeli, incarcerata da 15 giorni e attualmente in sciopero della fame.
Ma è ancora l’Ungheria a confermarsi la pecora nera dell’Ue. Proprio nelle ore in cui il titolare degli Esteri Péter Szijjártó si trovava al Consiglio, Orbán accoglieva a Budapest il presidente del Parlamento georgiano Sasha Papuashvili, ribadendo pieno sostegno al governo filorusso di Tbilisi, definito “pro-pace“, contro “gli attacchi da parte di Bruxelles e della rete di Soros“.
@PM_ViktorOrban reaffirmed Hungary’s strong support for Georgia in its disputes with Brussels during his meeting with @shpapuashvili, Chairman of the Georgian Parliament, at the Carmelite Monastery. Beyond political cooperation, the leaders discussed economic and energy… pic.twitter.com/JLkYbPcfBm
— Zoltan Kovacs (@zoltanspox) January 27, 2025
Il riferimento è al finanziere statunitense di origini ungheresi George Soros, da sempre inviso al leader magiaro e spesso additato come sorta di oscuro burattinaio di quella che la propaganda di Fidesz descrive come l’élite globalista pro-guerra.