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    Home » Politica Estera » Dopo più di due mesi di proteste, in Serbia è iniziato uno sciopero di “disobbedienza civile generale”

    Dopo più di due mesi di proteste, in Serbia è iniziato uno sciopero di “disobbedienza civile generale”

    Dopo l'incidente alla stazione ferroviaria di Novi Sad, in cui sono morte 15 persone, nel Paese è esplosa la rabbia. Gli studenti chiedono trasparenza al governo e accuse formali contro i responsabili delle violenze contro i manifestanti. Il presidente Vucic denuncia l'ingerenza di "agenti stranieri occidentali", Bruxelles chiede "dialogo"

    Simone De La Feld</a> <a class="social twitter" href="https://twitter.com/@SimoneDeLaFeld1" target="_blank">@SimoneDeLaFeld1</a> di Simone De La Feld @SimoneDeLaFeld1
    24 Gennaio 2025
    in Politica Estera
    proteste Serbia

    Le proteste oceaniche in Serbia contro il presidente Aleksandar Vučić (foto: Tadija Anastasijevic/Afp)

    Bruxelles – In Serbia non si placa l’ondata di protesta innescata dalla tragedia del crollo della pensilina della stazione ferroviaria di Novi Sad, lo scorso 1° novembre 2024, che ha provocato 15 morti e due feriti gravi. Dopo quasi tre mesi di manifestazioni a Belgrado e nelle principali città del Paese, durante i quali la tensione tra i movimenti studenteschi, le autorità e le forze dell’ordine è andata in crescendo, è iniziato oggi (24 gennaio) uno sciopero di “disobbedienza civile generale”.

    Studenti e professori – circa 5 mila tra docenti e personale accademico si sono uniti ai collettivi studenteschi – hanno invitato tutti i cittadini serbi ad unirsi alla protesta e sospendere le attività. Oltre alle facoltà delle maggiori università del Paese, occupate da quasi due mesi, sono rimaste chiuse alcune scuole, organizzazioni non governative, aziende, negozi, ristoranti, piccole attività commerciali. Come riportato dall’agenzia stampa Nova, anche diversi media, istituzioni culturali, sindacati dei servizi statali e delle amministrazioni cittadine hanno aderito all’appello, come alcune categorie tra cui medici, avvocati e agricoltori. Per oggi anche alcuni partiti dell’opposizione hanno annunciato proteste e blocchi.

    Gli studenti chiedono piena trasparenza nei progetti pubblici– a partire dalla pubblicazione dell’intera documentazione sulla ristrutturazione della stazione ferroviaria di Novi Sad -, il ritiro delle false accuse contro chi è stato arrestato durante le prime proteste antigovernative di novembre e la formulazione di accuse penali per i responsabili delle violenze commesse sui manifestanti, in diversi casi persone che si sono dimostrate affiliate al partito al potere, il Partito Progressista Serbo (SNS) del presidente Aleksandar Vucic. Inoltre, i collettivi studenteschi a capo delle proteste chiedono le dimissioni del primo ministro, Miloš Vučević, e del sindaco di Novi Sad.

    Il presidente serbo Aleksandar Vucic al World Economic Forum a Davos, Svizzera [Foto via Imagoeconomica]
    A Vucic, il primo sul banco degli imputati perché leader del partito al potere a Belgrado da 13 anni, non resta che contrattaccare: dalla vetrina del World Economic Forum di Davos, ha denunciato l’ingerenza di “agenti stranieri, provenienti da diversi Paesi occidentali”, che soffiano sulle proteste divampate a Belgrado. “Lo sappiamo per certo”, ha accusato il presidente del Paese candidato di lunga data all’adesione all’Unione europea.

    Vucic ha proposto di indire un “referendum consultivo” sulla sua presidenza – non vincolante -, ma l’opposizione ha respinto la proposta, chiedendo invece l’insediamento di un governo di transizione verso nuove elezioni regolari.

    Bruxelles guarda con preoccupazione il caos esploso a Belgrado, che il 21 gennaio è entrata nell’undicesimo anno dall’inizio dei negoziati di adesione all’Ue. Il portavoce della Commissione europea responsabile per l’Allargamento, Guillaume Mercier, ha ribadito oggi che “la libertà di riunione è un diritto fondamentale dell’Ue, che deve essere protetto ed esercitato in modo pacifico e nel pieno rispetto dello Stato di diritto e dell’ordine pubblico”. L’Ue, ha proseguito Mercier, “continua a incoraggiare tutte le parti interessate che sostengono l’integrazione europea a contribuire, attraverso il dialogo e il compromesso, al progresso della Serbia verso il percorso di adesione all’Ue”.

    Un percorso che – come certificato ben prima dell’incidente di Novi Sad, nell’ultimo rapporto della Commissione europea sull’allargamento – rimane piuttosto complicato. La fotografia scattata da Bruxelles lo scorso 30 ottobre descriveva una Belgrado “disallineata” rispetto alle priorità strategiche della politica estera comunitaria, molto vicina a Mosca e  poco costruttiva sul difficile dialogo con il Kosovo, e pigra nell’attuazione delle riforme sullo Stato di diritto necessarie per fare parte del club europeo. “Il ritmo dei negoziati” per l’ingresso di Belgrado nell’Ue, affermava Bruxelles nel rapporto, “continuerà a dipendere dalle riforme sullo Stato di diritto e dalla normalizzazione delle relazioni della Serbia con il Kosovo”.

    Tags: Aleksandar Vucicallargamentoserbia

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