Bruxelles – Cautela. E poi speranza, la speranza che tra il dire e il fare prevalga il pragmatismo. Nel giorno dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca per il secondo mandato dell’esponente del partito repubblicano, l’Europa degli Stati accelera il ragionamento su come fare da oggi in avanti. Nessuno ipotizza scenari di guerra commerciale o attriti, al contrario l’auspicio di tutti è che si continui con relazioni trans-atlantiche all’insegna delle cooperazione. Però, a ben vedere, il modo ‘tiepido’ con cui i ministri economici parlano dell’inizio del Trump bis nascondono più di qualche inquietudine.
Il ministro delle Finanze belga, Vincent van Peteghem, è quello che forse meglio di altri esprime lo stato d’animo di un’Ue consapevole di limiti e insidie. “La nuova amministrazione Trump deve suonare da sveglia per l’Europa“, afferma in un misto di preoccupazione ed esortazione ad una nuova stagione più euro che atlantica. Ma soprattutto invita a rimboccarsi le maniche, perché potrebbe davvero essercene bisogno. “Non dobbiamo focalizzarci sulle ritorsioni” commerciali, continua il belga. Al contrario, “dobbiamo concentrarci sulla diplomazia”. Sempre che Trump il poco diplomatico di buone maniera e buona volontà voglia saperne.
Le incognite non mancano, come riconosce anche il ministro dell’Economia del Portogallo, Joaquim Miranda Sarmento: “Vedremo nelle prossime settimane e nei prossimi mesi quali saranno le decisioni che saranno prese da Trump”. Da questa parte dell’Atlantico, assicura, “l’Europa è preparata per continuare a cooperare“. Tradotto: se strappi saranno, non sarà per volere europeo.
Insomma, l’Ue e la sua eurozona provano a tenere a freno il pessimismo e ragionare in termini di ordinaria amministrazione, anche se quella Trump di amministrazione tutto potrebbe essere fuorché ordinaria. Non a caso il ministro delle Finanze irlandese, Jack Chambers, ammette che “ci sono rischi potenziali derivanti da nuovi dazi“, quelli che il nuovo presidente degli Stati Uniti minaccia già dalla campagna elettorale.
Complice anche un’agenda dei lavori a dodici stelle che si intreccia col calendario istituzionale a stelle e strisce, il nuovo corso euro-atlantico finisce inevitabilmente in agenda. I ministri economici discutono il cambio di leadership negli Stati Uniti prima nel consesso dedicato a quanti hanno in uso la moneta unica, e poi al centro della cena dell’Ecofin. Qui i 27 Stati membri dell’Unione europea faranno un primo punto sulla linea da tenere e come relazionarsi ad un partner finora di riferimento e che si vorrebbe ancora affidabile.
“In questo nuovo ambiente il commercio è un tema di cui discutere”, riconosce il ministro dell’Economia francese, Eric Lombard. Un riferimento alla voglia di libero scambio europeo, in contrapposizione alle pulsioni protezionistiche dell’America di Trump. L’Ue adesso attende le mosse del nuovo presidente, fra tradimenti già consumati, timori che non mancano e speranze che si vogliono mantenere. Il futuro economico e politico dell’Ue su scala internazionale si gioca in questi cinque anni. A Bruxelles, come nelle altre capitali, ne sono consapevoli.
Valdis Dombrovskis, commissario per l’Economia e già responsabile Ue per il Commercio, offre però un’altra lettura della situazione. “In gioco c’è molto”, ammette. Perché, spiega al termine dei lavori dell’Eurogruppo, “Unione europea e Stati Uniti hanno relazioni commerciali tra le più ampie al mondo” e quindi questi implica che “anche gli Stati Uniti hanno molto da perdere“. Ad ogni modo non si resterà a guardare. “Se dovremo difendere gli interessi europei, saremo pronti”. Ricorda in tal senso come la Commissione rispose ai dazi della prima presidenza Trump sull’acciaio europea. Cautela, certo. Ma anche fermezza.