Dall’inviato a Strasburgo – Anziché dissiparsi, il polverone relativo al mandato di cattura spiccato nei confronti del premier israeliano Benjamin Netanyahu continua a montare. Dopo che il presidente della Polonia aveva chiesto al suo governo di non arrestare il leader dello Stato ebraico se questi avesse visitato Auschwitz per commemorare le vittime dell’Olocausto, è stato nel weekend il turno del primo ministro romeno, il quale ha invitato direttamente l’omologo mediorientale a Bucarest. Entrambi gli Stati Ue, però, sarebbero tecnicamente obbligati ad arrestare Netanyahu se questi mettesse piede sul loro territorio.
Sotto il cielo romeno, ha destato scalpore l’invito avanzato dal primo ministro socialdemocratico Marcel Ciolacu al suo omologo israeliano, al quale ha proposto di visitare Bucarest per incontrarlo personalmente.
Il premier uscente (che sta cercando la quadra per formare un nuovo governo dopo le elezioni del mese scorso) era stato il primo leader straniero a visitare lo Stato ebraico dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023, in risposta ai quali Tel Aviv ha avviato una violenta campagna militare nella Striscia di Gaza che è appena stata interrotta da un cessate il fuoco, sulla cui stabilità rimangono tuttavia ancora dei dubbi.
Romania and Israel share a relation of strategic importance and solidarity is part of our bonds. We will continue our joint efforts to promote peace and security and implement the different economic & security projects I agreed with PM @netanyahu. We will also work to prepare the…
— Marcel Ciolacu (@CiolacuMarcel) January 19, 2025
La polemica, esplosa nella giornata di ieri (19 gennaio) ma destinata a non spegnersi tanto presto, ruota intorno al mandato di cattura per crimini di guerra e crimini contro l’umanità – in connessione proprio alle operazioni israeliane a Gaza, che hanno mietuto oltre 46mila vittime, la maggior parte delle quali civili (e, si stima, circa 18mila minori) – spiccato lo scorso novembre contro Netanyahu e il suo ex ministro della Difesa Yoav Gallant dalla Corte penale internazionale (Cpi), il tribunale Onu con sede all’Aia istituito dallo Statuto di Roma del 1998 e che, almeno teoricamente, dovrebbe far rispettare il diritto internazionale.
In realtà, l’applicazione dei dispositivi della Corte è in mano ai Paesi che ne riconoscono l’autorità: tra le 125 parti dello Statuto ci sono tutti e 27 i membri dell’Ue ma mancano tra gli altri Stati Uniti, Russia, Cina e, appunto, Israele. Riconoscendo formalmente la giurisdizione della Cpi, dunque, ai Ventisette incorre tecnicamente l’obbligo di dare attuazione ai mandati di arresto emessi dalla stessa, come quelli nei confronti del presidente russo Vladimir Putin o di Netanyahu e Gallant. Un obbligo ricordato chiaramente alle cancellerie europee dall’allora Alto rappresentante per la politica estera, Josep Borrell, all’ultima riunione ministeriale in formato Esteri del G7 a presidenza italiana.
Eppure, come dimostra il caso romeno, la politica prevale ancora una volta sul diritto. Bucarest è una solida alleata di Tel Aviv fin dai tempi della Guerra fredda (quando, pur essendo parte del blocco sovietico, non ha mai rotto i rapporti diplomatici con lo Stato ebraico), e l’ambasciata romena in Israele è stata spostata a Gerusalemme nel 2018.
Inoltre, coincidenza vuole che due dei tre ostaggi liberati ieri da Hamas nell’ambito dell’accordo con Israele (Romi Gonen e Doron Steinbrecher) siano di origine romena. In merito all’entrata in vigore del cessate il fuoco, la presidente dell’Eurocamera Roberta Metsola ha salutato in apertura della sessione plenaria a Strasburgo “il progresso che tutti noi speravamo e di cui tanti avevano disperatamente bisogno“, auspicandosi “che il lavoro verso un domani migliore continui” e che “diventi il trampolino di lancio per una stabilità duratura, la ricostruzione e un incremento degli aiuti che offra una reale prospettiva di pace nella regione“.
Del resto, quello di Bucarest non è un fulmine a ciel sereno. Solo un paio di settimane fa, il presidente polacco Andrzej Duda ha chiesto al governo guidato dal rivale politico Donald Tusk (quest’ultimo membro di spicco dei Popolari europei, di centro-destra, mentre il primo è vicino alla destra ultranazionalista del PiS) di garantire che il leader israeliano non venisse arrestato se avesse deciso di recarsi nel Paese in occasione delle celebrazioni per l’80esimo anniversario della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz, in programma per il prossimo 27 gennaio.
Al momento, comunque, sembra che Netanyahu non intenda partecipare alla cerimonia proprio per timore che le autorità polacche possano trarlo in arresto in ottemperanza al mandato della Cpi.