Bruxelles – Dal primo dicembre 2024, data del passaggio di consegne alla guida delle istituzioni europee, è calato il silenzio sulle ripetute violazioni del diritto internazionale da parte dell’esercito israeliano nella guerra contro Hamas a Gaza. Una cesura netta, rispetto alla costanza con cui l’ex presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e soprattutto l’ex Alto rappresentante per gli Affari esteri, Josep Borrell, avevano cercato di mantenere alta la pressione diplomatica sull’alleato mediorientale. Di fronte ai nuovi episodi di attacchi ai presidi umanitari e alla distribuzione di aiuti, i loro successori – Antonio Costa e Kaja Kallas – hanno finora scelto il silenzio. In attesa di un Consiglio di Associazione Ue-Israele previsto per i primi mesi del nuovo anno.
Per comprendere il radicale cambio di atteggiamento a capo della diplomazia europea, è utile confrontare le dichiarazioni pubbliche di Borrell e Kallas nell’ultimo mese di servizio del socialista spagnolo e nel primo della liberale estone. Almeno una decina, i messaggi di condanna dei raid israeliani sulla popolazione civile e di supporto alle istituzioni e agli organi di diritto internazionale pubblicate da Borrell sul proprio account X, nemmeno uno da Kallas. Complice il focus riorientato ad inizio dicembre sulla caduta del regime di Bashar al-Assad in Siria, la tragedia umanitaria di Gaza è addirittura stata scalzata dai temi principali in agenda al Consiglio Ue Affari esteri del 16 dicembre, il primo presieduto da Kallas.
Eppure, le occasioni per richiamare Tel Aviv ai suoi obblighi derivanti dal diritto internazionale non sono di certo mancate. Solo nella settimana tra Natale e Capodanno, dal 24 al 30 dicembre, l’Ufficio di Coordinamento per gli Affari Umanitari delle Nazioni Unite (Ocha) ha riportato la morte di 203 cittadini palestinesi e il ferimento di altri 574. Il 27 dicembre, l’esercito israeliano ha messo fuori servizio l’ospedale Kamal Adwan, l’ultima struttura sanitaria importante nel nord di Gaza, arrestato il direttore, e ucciso circa 50 persone, tra cui cinque operatori sanitari, bombardando un edificio di fronte all’ospedale. Secondo il bollettino di Ocha, il 26 dicembre sono rimasti uccisi cinque giornalisti e operatori palestinesi, colpiti da un attacco aereo di fronte all’ospedale Al Awda nel campo profughi di An Nuseirat, a Deir al Balah.
Ieri (6 gennaio) il sottosegretario generale Onu per gli Affari umanitari, Tom Fletcher, ha lanciato un nuovo appello disperato per una situazione che “si scontra con ostacoli crescenti”. Ha fatto tre esempi: un attacco israeliano che “ha ferito gravemente tre persone in un noto punto di distribuzione di cibo dove operava un partner del Programma alimentare mondiale chiaramente contrassegnato”, l’intensificarsi degli attacchi “durante lo spostamento di un convoglio di 74 camion di aiuti”, e le minacce ricevute da una missione delle Nazioni Unite a Jabalia da parte di “soldati israeliani ostili” che hanno arrestato quattro pazienti critici. Fletcher ha denunciato inoltre un’operazione di dirottamento di autocisterne di carburante da parte di bande armate palestinesi.
Secondo il sottosegretario generale si tratta di “un pericoloso schema di sabotaggio e interruzione deliberata“, in cui “le forze israeliane non possono o non vogliono garantire la sicurezza dei nostri convogli” e “le dichiarazioni delle autorità israeliane diffamano i nostri operatori umanitari mentre i militari li attaccano”. Dai vertici delle istituzioni europee non è arrivato nessun commento. Nessun messaggio di supporto. Una portavoce della Commissione europea ha fatto sapere oggi (7 gennaio) che la commissaria Ue per la Gestione delle crisi, Hadja Lahbib, ha discusso la situazione con Fletcher. Ed ha ribadito l’appello a “tutte le parti” a “rispettare il diritto internazionale umanitario” e a “non attaccare i convogli umanitari”. Formule e principi messi nero su bianco anche nelle conclusioni dell’ultimo vertice dei capi di stato e di governo dell’Ue, lo scorso 19 dicembre.
L’ex capo della diplomazia Ue, Josep Borrell, è stato criticato da diverse capitali europee per la durezza con cui si è esposto nei confronti del governo di Benjamin Netanyahu, spesso non concertata con i Paesi membri. La sua ultima proposta, quella di sospendere il dialogo politico con Israele nell’ambito dell’Accordo di associazione che lega Bruxelles e Tel Aviv, è stata rispedita al mittente dai 27. Giudicata come una soluzione troppo radicale, che non avrebbe fatto altro che ostacolare ulteriormente il percorso verso la fine del conflitto. Anche l’idea di convocare un Consiglio di Associazione per discutere del rispetto dei diritti umani da parte di Tel Aviv è stata accantonata, perché il governo Netanyahu si è rifiutato di sottoporsi a un confronto dedicato esclusivamente a tale scopo.
A conti fatti, la strategia di Borrell in effetti non ha portato a nessun risultato concreto. La guerra non è cessata, Tel Aviv non ha mai prestato ascolto agli inviti che arrivavano dall’Alto rappresentante Ue, ed anzi la tensione con Bruxelles è aumentata notevolmente. Però i continui richiami e la strenua difesa del diritto internazionale hanno permesso di mantenere per oltre un anno i riflettori accesi su quel che accade nell’inferno di Gaza. “La storia ci giudicherà tutti. Io ho fatto quello che credevo di dover fare”, ha dichiarato il socialista spagnolo al termine del suo mandato.
La baltica Kallas, scelta a capo dell’azione esterna dell’Ue soprattutto per ribadire il sostegno incondizionato all’Ucraina contro la Russia, sul Medio Oriente ha cambiato approccio. Con i ministri degli Esteri dei 27 ha invitato nuovamente Israele a celebrare un Consiglio di Associazione, senza però imporre l’agenda esclusivamente sul rispetto dei diritti umani. Parallelamente, ha convocato una Conferenza di alto livello con l’Autorità Nazionale Palestinese. Da tenersi entrambe nei primi mesi del nuovo anno, ma – come confermato oggi da un portavoce dell’esecutivo Ue – non c’è ancora una data precisa. Non c’è ancora una risposta da parte del governo israeliano. Per ora, è solamente calato il silenzio sui crimini commessi nell’enclave palestinese. “Sepolti sotto le macerie di Gaza”, per utilizzare le parole di Borrell.