Bruxelles – Niente da fare: i correttivi apportati da Budapest per salvaguardare l’indipendenza degli enti pubblici (soprattutto università e entità collegate) non convincono la Commissione europea. Che quindi continua a tenere congelati oltre 6 miliardi di euro di fondi comunitari destinati all’Ungheria, ritenendo che la normativa nazionale si ponga in violazione delle regole Ue sulla tutela dello Stato di diritto.
Con una nota pubblicata oggi (16 dicembre), l’esecutivo comunitario ha comunicato che tira dritto per la sua strada e non reputa adeguate le garanzie fornite dal governo magiaro, guidato dal primo ministro ultranazionalista e filorusso Viktor Orbán, in merito alle contestate norme sui “trust di interesse pubblico”.
La vicenda è iniziata due anni fa, quando il Consiglio aveva adottato una misura per evitare che le violazioni dello Stato di diritto accertate in Ungheria danneggiassero gli interessi finanziari dell’Unione. Una formula che, in buona sostanza, implica la sospensione dei trasferimenti da Bruxelles a Budapest – che, per inciso, è attualmente l’unica capitale contro la quale è aperta una procedura ex articolo 7 del Trattato (Tue) per le violazioni dello Stato di diritto.
Di conseguenza, il 55 per cento degli impegni di bilancio per tre diversi programmi sotto la rubrica della politica di coesione (per il periodo di bilancio 2021-2027) è stato sospeso per un totale di circa 6,3 miliardi di euro, così com’è stato fatto divieto alla Commissione di sottoscrivere nuovi impegni finanziari con i trust suddetti e le entità da essi gestite.
Gli ambiti interessati da quella decisione riguardavano soprattutto il settore degli appalti pubblici, l’azione giudiziaria in campo penale, la normativa sul conflitto d’interessi, il contrasto alla corruzione e, appunto, i trust di interesse pubblico. Nello specifico, per quanto riguarda questi ultimi, il tema è quello della presenza nei consigli di amministrazione di università, istituti di ricerca e fondazioni di personale vicino a Fidesz, il partito di governo che è di fatto una macchina per il mantenimento del potere personale di Orbán, con evidenti problemi di trasparenza e di conflitti di interesse tra politica e accademia.
Lo scorso 2 dicembre, Budapest ha provato a mettere una pezza notificando alla Commissione l’adozione di un emendamento alla legge che regola i conflitti di interesse, con il quale si sarebbero dovuti ridurre i rischi segnalati da Bruxelles. Ma la Commissione ha risposto picche, poiché, dice, le rassicurazioni dell’esecutivo magiaro non sono abbastanza e permane il rischio che i trust e le entità ad essi collegate rimangano soggetti ad un indebito controllo politico.
Così, il Berlaymont ha confermato oggi la sua precedente decisione: allo scopo di proteggere il bilancio dell’Ue dalle malversazioni, il cosiddetto meccanismo di condizionalità rimane attivo e impedirà all’Ungheria di accedere ai fondi comunitari in questione. Del resto, si legge nel comunicato, l’esecutivo comunitario “ha chiaramente indicato gli adattamenti che sarebbero stati necessari per rimediare in modo adeguato” alle criticità individuate due anni fa.
Altri fondi rimangono bloccati nell’ambito dei pagamenti del piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per la ripresa post-pandemica, che pure rimarrà in naftalina finché Budapest non si adopererà per restaurare lo Stato di diritto preso a picconate da Orbán da quasi un decennio, fino a rendere il Paese mitteleuropeo “un vero e proprio problema sistemico” in questo campo (parola dell’ex commissario Ue alla Giustizia, Didier Reynders).