Bruxelles – Zerocalcare al Parlamento europeo per parlare di antifascismo. È successo oggi (11 dicembre) ad un evento organizzato dal gruppo della Sinistra, The Left, in cui il fumettista romano ha presentato la sua ultima fatica, dedicata al caso di Ilaria Salis. Oltre alla deputata di Alleanza verdi e sinistra (Avs), hanno preso la parola anche i parenti e i legali di altri attivisti antifascisti incarcerati non solo in Ungheria ma anche in Francia e Germania.
L’evento odierno si incentrava su quelle che la sinistra radicale considera la persecuzione politica degli attivisti antifascisti e la loro criminalizzazione da parte delle forze dell’estrema destra europea. A partire da Fidesz, il partito del premier ungherese Viktor Orbán intorno al quale si è formato il gruppo dei Patrioti (PfE) all’Eurocamera, e dal caso di Ilaria Salis, la cui vicenda giudiziaria è stata descritta come il paradigma di un processo politico essenzialmente reazionario.
La diretta interessata, che partecipava all’evento, ha dichiarato senza mezzi termini che “sotto il governo illiberale e autoritario di Orbán, dove la magistratura è influenzata dal potere politico, non sussistono le condizioni affinché gli antifascisti possano affrontare un processo equo e rispettoso dello Stato di diritto”. La sua storia, ha sottolineato, “ha dimostrato ampiamente che ciò che si cerca non è la giustizia ma una punizione esemplare e una vendetta politica”.
Alla mediatizzazione del caso Salis ha contribuito tra gli altri il fumettista Zerocalcare, al secolo Michele Rech, con “Questa notte non sarà breve”, un’opera che lui stesso descrive come collettanea – anzi “collettiva”, come chiarito dall’autore – concepita “per tenere accesi i riflettori” sulla sua vicenda, arrivata alla ribalta delle cronache nostrane nel dicembre 2023 quando venne condotta in un tribunale ungherese con tanto di ceppi e manette in bella vista.
Left co-president @schirdewan opened the event on Criminalization of Antifascism by underscoring the importance of unconditional defence of democratic values and equality.
“Fascism is not an opinion or a choice, it’s a crime against humanity.” #Siamotuttiantifascisti pic.twitter.com/wFrGDHkUqG
— The Left in the European Parliament (@Left_EU) December 11, 2024
Si è trattato, secondo Rech, della violazione della “civiltà giuridica europea”, tra i cui capisaldi ha segnalato la presunzione d’innocenza fino a prova contraria. Eppure, a processo ancora in corso – ad oggi non si è ancora concluso il primo grado – per la stampa ungherese “Ilaria era già una criminale, era condannata ancora prima di una sentenza”. Un altro aspetto su cui Zerocalcare e colleghi hanno puntato molto è stata l’assenza di proporzionalità delle pene proposte dall’accusa: fino a 25 anni di carcere per delle lesioni leggere (per le quali non è nemmeno stata sporta denuncia dalle vittime).
Tramite aneddoti legati alla sua esperienza in Ungheria a sostegno di Salis, Rech ha inoltre denunciato “un contesto di assoluta complicità tra polizia e neonazisti”, elogiando la grande “ondata positiva” di solidarietà in Italia che ha portato poi all’elezione della donna tra le fila di Avs. Ma sempre a riguardo della ricezione della storia nel Belpaese, l’autore ha sottolineato che c’è “una battaglia culturale da affrontare” per cui (complice il ventennio di berlusconismo), molti cittadini “pensano che le condizioni di vita in carcere siano inaccettabili solo se uno è innocente, mentre se uno è colpevole si merita tutto”. Un ragionamento, ha notato, che cozza platealmente con i princìpi alla base dello Stato di diritto e della tutela dell’integrità umana.
Lo scorso ottobre, le autorità magiare hanno chiesto all’Europarlamento di revocare l’immunità connessa allo status di deputata di Salis. La domanda è attualmente al vaglio dei servizi legali della commissione giuridica dell’Aula: se supererà tale esame, ha spiegato a Eunews l’avvocato di Salis, Matteo Zamboni, toccherà poi alla Plenaria esprimersi sull’opportunità di procedere con la revoca. È verosimile che l’iter prenda diversi mesi.
Ma ci sono almeno altri due casi in cui la magistratura ungherese è stata strumentalizzata dalla politica, almeno secondo l’accusa di The Left. Uno è quello di Rexhino Abazaj, detto Gino, cittadino 32enne albanese, italiano senza cittadinanza e arrestato a Parigi, dove attende la decisione dei giudici sul suo trasferimento in Ungheria. L’altro è quello di Maja T., attivista non-binaria 23enne di nazionalità tedesca arrestata a Berlino ed estradata a Budapest dopo una detenzione a Dresda.
Il filo rosso che unisce queste tre storie è la partecipazione ad una manifestazione antifascista nella capitale ungherese nel febbraio 2023, in contestazione della parallela marcia di estremisti di destra che si tiene ogni anno nel cosiddetto “giorno dell’onore”, una celebrazione in memoria dei collaboratori della Germania nazista e dell’assedio di Budapest del 1945.
A perorare la causa di Maja c’erano all’Europarlamento suo padre e i suoi nonni, che hanno raccontato i metodi brutali usati dalle forze dell’ordine e di sicurezza durante le varie fasi della detenzione, dal fermo all’incarcerazione, passando per il trasferimento da Berlino a Dresda e fino all’estradizione: manette e ceppi, mezzi blindati, strade chiuse al traffico e volto coperto, tutte misure degne dei più pericolosi terroristi.
Secondo il padre, l’estradizione in Ungheria “configura una violazione dello Stato di diritto”, soprattutto per le condizioni della detenzione nelle carceri magiare (recentemente bacchettate anche dal Consiglio d’Europa) che violerebbero la proibizione delle pratiche di tortura (ad esempio tramite l’osservazione costante, giorno e notte, di Maja e attraverso il ricorso ad un isolamento quasi costante negli ultimi sei mesi) e consentendo, tra le altre cose, la discriminazione contro i membri della comunità Lgbtq+.
“Pertanto”, questo l’appello di Salis, dei suoi colleghi e di Zerocalcare, “le estradizioni degli antifascisti verso l’Ungheria devono essere fermate immediatamente” poiché “è chiaro” che nel Paese mitteleuropeo “non si cerca la giustizia ma solo vendetta politica”. Per il co-capogruppo della Sinistra in Aula, Martin Schirdewan, “l’Ungheria è un Paese corrotto, dove si violano i diritti fondamentali della persona così com la libertà di stampa”.