Bruxelles – Dal 24 novembre, data del primo turno delle elezioni presidenziali che hanno sancito il ballottaggio tra il filo-russo Călin Georgescu e la liberale Elena Lasconi, i riflettori dell’Ue sono puntati costantemente su Bucarest. Ieri (1 dicembre) i socialdemocratici (Psd) hanno vinto le elezioni legislative con il 22,4 per cento dei voti. Una vittoria di Pirro, perché le forze politiche di estrema destra hanno raggiunto addirittura il 31 per cento, trainate dal risultato dell’Alleanza per l’unità dei romeni (Aur). “L’inizio di una nuova era”, ha esultato il suo leader George Simion.
Il primo ministro uscente e leader dei socialdemocratici, Marcel Ciolacu – che è stato eliminato dalla corsa alla presidenza al primo turno – non ha potuto nascondere la polvere sotto il tappeto. “I romeni hanno inviato un segnale importante alla classe politica”, ha commentato Ciolacu. Continuare sulla strada europea “ma anche proteggere la nostra identità e i nostri valori nazionali“. In realtà, un terzo degli elettori rumeni ha dato il proprio voto a partiti che ammiccano a Mosca, una riconferma di quanto successo una settimana fa, quando tra Georgescu e Simion i candidati ultranazionalisti e filo-russi avevano raccolto circa il 36 per cento al primo turno delle presidenziali. Georgescu, candidato indipendente, ha militato nell’Alleanza per l’unità dei romeni (Aur) dal 2020 al 2022.
“Oggi il popolo romeno ha votato per le forze sovraniste”, ha rivendicato Simion, il cui partito Aur ha ottenuto il 17,8 per cento dei voti, al secondo posto dietro i socialdemocratici del Psd. Al suo fianco, l’estrema destra potrà contare in Parlamento su Sos Romania (7,2 per cento) e sul Partito della Gioventù (6,3 per cento). Tre partiti che rimettono in discussione il sostegno alla resistenza della vicina Ucraina e la collocazione internazionale di Bucarest.
Dall’altro lato, il Partito Nazionale Liberale (Pnl) – dal 2021 al governo in coalizione con il Pds – è stato il terzo partito più votato, con circa il 14 per cento delle preferenze. I liberali di centrodestra di Elena Lasconi, ancora in corsa per la carica di presidente della Repubblica, solo quarti, con il 12,2 per cento. L’affluenza registrata del 52 per cento è la più alta degli ultimi vent’anni per quanto riguarda le elezioni legislative.
La consultazione elettorale per rinnovare il Parlamento – e quindi formare un nuovo governo – si intreccia inevitabilmente con l’elezione del presidente della Repubblica. Alla luce del clamoroso risultato dell’estrema destra, diversi leader moderati hanno già lanciato appelli per un governo di unità nazionale, che possa riunire Psd, Pnl e l’Unione Salva Romania di Lasconi. “Uniti possiamo fare miracoli”, ha dichiarato quest’ultima, lanciando un appello a mettere da parte le liti tra i partiti per “difendere la democrazia” e proteggere la Romania dalle ingerenze del Cremlino. Un appello all’unità che, visto il modesto risultato del suo partito, è fondamentale per il secondo turno delle elezioni presidenziali, previste l’8 dicembre, quando Lasconi se la vedrà con Georgescu.
Sempre che la Corte costituzionale non decida di annullare il primo turno, dopo aver ordinato un riconteggio dei voti per sospetti sull’integrità del voto che ha portato all’exploit di Georgescu. Di mezzo c’è anche il ruolo giocato da TikTok, che secondo l’ente di controllo dei media rumeno avrebbe privilegiato indebitamente i contenuti del candidato ultra-nazionalista.
Alla decisione della Corte, attesa in serata, è appeso un Paese intero. L’attuale premier Ciolacu, rimasto fuori dal ballottaggio per una manciata di voti a favore di Lasconi, ha già dichiarato che anche “se, dopo il riconteggio, si accertasse che ho più voti della signora Lasconi”, non parteciperà al ballottaggio. Ciolacu ha accusato la leader liberale di averlo infangato pubblicamente con “ogni genere di bugie”. Non certo la premessa migliore per raccogliere l’appello all’unità contro l’estrema destra: “Sarà molto difficile per me rispondere al telefono quando la signora Lasconi mi chiamerà, perché avrà bisogno di ogni voto per sconfiggere Georgescu”, ha ammesso il premier. Se Ciolacu non alzerà la cornetta, la Romania potrebbe trovarsi di fronte allo scenario inedito di una convivenza di un esecutivo moderato che la tiene ancorata a Bruxelles e un capo dello Stato che la tira verso Mosca.