Bruxelles – La Francia è di nuovo sull’orlo del caos politico, con il governo di Michel Barnier che potrebbe cadere già prima della fine di questa settimana. Le opposizioni di sinistra radicale e di estrema destra hanno già annunciato che voteranno la sfiducia all’esecutivo di minoranza, su cui il Parlamento si esprimerà al più tardi giovedì. All’origine dello scontro c’è la legge di bilancio per il 2025, con cui l’esecutivo transalpino dovrebbe ridurre il deficit nazionale fuori controllo per rientrare nei parametri di spesa fissati dall’Ue.
Atto di forza
Durante un acceso dibattito all’Assemblée nationale nel primo pomeriggio di oggi (2 dicembre), il primo ministro francese Michel Barnier ha annunciato che non sottoporrà la manovra finanziaria per il prossimo anno al vaglio dei deputati, forzandone l’approvazione tramite i poteri conferitigli dall’articolo 49.3 della Costituzione.
“Siamo giunti a un momento di verità, in cui ognuno deve assumersi le proprie responsabilità”, ha dichiarato di fronte all’emiciclo, aggiungendo che tocca ora ai rappresentanti della nazione “decidere se il nostro Paese si sta dotando di testi finanziari responsabili, essenziali e utili per i nostri concittadini, o se stiamo entrando in un territorio inesplorato”.
Barnier scopre il fianco alle opposizioni
Il ricorso all’articolo 49.3 della Carta fondamentale permette all’inquilino di palazzo Matignon di bypassare il voto dell’Aula per motivi di urgente sicurezza nazionale. Ma lo espone anche ad un voto di sfiducia, poiché sancisce che il progetto di legge finanziaria è da considerarsi adottato “salvo il caso” in cui almeno un decimo dei membri dell’Assemblea (cioè 58 deputati) presenti, entro le 24 ore successive all’attivazione dell’articolo stesso, una mozione di censura.
Una prima mozione è stata depositata nel tardo pomeriggio dai deputati de La France insoumise (Lfi), il partito della sinistra radicale di Jean-Luc Mélenchon che con 71 eletti è la prima forza all’interno del Nouveau front populaire (Nfp), l’alleanza delle sinistre messa in piedi in fretta e furia a ridosso delle elezioni anticipate dello scorso giugno. Una mozione parallela dovrebbe essere depositata anche dall’estrema destra del Rassemblement national (Rn) di Marine Le Pen e Jordan Bardella.
La #MotionDeCensure du NFP va provoquer le départ de Michel Barnier.
Plus que jamais s’offre à Emmanuel Macron deux possibilités : nommer un gouvernement du Nouveau Front Populaire ou s’en aller pour que le peuple retourne aux urnes⤵️ pic.twitter.com/pc6lMDkbiF
— La France Insoumise #NFP à l’Assemblée (@FiAssemblee) December 2, 2024
Dal partito ultranazionalista – alleato in Europa ai Patrioti di Viktor Orbán e Matteo Salvini – hanno fatto sapere che il gruppo parlamentare voterà a favore anche della mozione della sinistra, che dovrebbe essere messa all’ordine del giorno dei lavori dell’emiciclo non prima di mercoledì pomeriggio (cioè a decorrere dalle 48 ore successive alla sua presentazione). Per passare e far cadere il governo Barnier, qualunque mozione dovrà ottenere il sostegno della maggioranza assoluta dei membri dell’Assemblée, fissata a quota 288.
Il nodo politico
Il premier ministre aveva tentato di disinnescare la minaccia della sfiducia, agitata nelle scorse settimane dal Rn, includendo nella proposta di bilancio alcune delle richieste avanzate da Le Pen, con la quale ha avuto uno scambio telefonico prima del dibattito in Aula, senza però riuscire a portarla dalla sua parte. Barnier aveva acconsentito ad eliminare un taglio del 5 per cento sui programmi di rimborso dei farmaci, dopo aver già ceduto sulla riduzione dei fondi statali all’assistenza sanitaria ai migranti irregolari e aver abbandonato i piani precedentemente annunciati di aumentare le tasse sull’energia elettrica.
Ma la leader dell’ultradestra transalpina ha continuato a insistere sulla richiesta, insostenibile per il suo interlocutore, della completa indicizzazione delle pensioni all’inflazione. La riforma del sistema pensionistico è stato uno dei provvedimenti più controversi del secondo mandato del presidente Emmanuel Macron, osteggiata con forza tanto dalla destra quanto dalla sinistra dello spettro politico. Il bilancio proposto da Barnier prevede un risparmio di circa 60 miliardi di euro tra aumenti di tasse e tagli alla spesa pubblica per ridurre dal 6 al 5 per cento il rapporto deficit/Pil.
Un progetto che non è andato giù ai lepenisti. “Lo scorso giugno i francesi volevano voltare pagina con Emmanuel Macron”, ha commentato il presidente del Rn Bardella. “Non c’è via d’uscita per un governo che ricuce il filo con il macronismo, che rifiuta di prendere in considerazione l’emergenza sociale della fine del mese e che ignora la necessità di rilanciare la crescita”, ha aggiunto.
Cosa accade ora
L’attivazione dell’articolo 49.3 da parte di Barnier riflette la debolezza del suo governo, partito tra mille difficoltà a inizio settembre dopo mesi di scontro frontale tra le forze politiche in un Parlamento fortemente balcanizzato. Il premier guida un esecutivo di minoranza, avendo il supporto di 211 su 575 deputati all’Assemblée, ed è costantemente sotto il tiro incrociato delle opposizioni di destra (124 eletti del Rn e 16 dell’Udr) e di sinistra (i partiti dell’Nfp detengono in tutto 192 seggi).
Se Barnier sopravvivrà alla sfiducia, l’azione del suo governo sarà ancora più debole, sia sul piano politico sia sul piano economico, a livello domestico, europeo ed internazionale. Soprattutto, il deficit francese rischierebbe di salire ancora, erodendo non solo la fiducia degli investitori esteri ma anche la pazienza della Commissione Ue, che ha già aperto una procedura d’infrazione per disavanzo eccessivo contro Parigi. Gli interessi sui titoli decennali del debito sono già saliti nella giornata di oggi al 2,89 per cento, portando lo spread con i Bund tedeschi a 84 punti base, una cifra mai vista dal 2012, nel pieno della crisi dell’euro.
Se passerà la censura, il suo sarà stato il governo più breve della Quinta Repubblica, e la Francia entrerà in una nuova fase di incertezza politica, ancora più esasperata dell’attuale – che rappresenta già un inedito storico. L’unico precedente risale al 1962, quando l’Assemblée sfiduciò Georges Pompidou. In questo caso, Macron non potrà convocare elezioni anticipate (la Costituzione impedisce di sciogliere il Parlamento più di una volta ogni 12 mesi) e sarà costretto a nominare un nuovo premier e un nuovo esecutivo, che rischia di essere ancora più debole di quello in carica. Quanto alla finanziaria per il 2025, entrerebbero verosimilmente in funzione dei meccanismi costituzionali di salvaguardia emergenziale per evitare l’esercizio provvisorio.