Bruxelles – Non paga la scommessa del primo ministro irlandese, Simon Harris, di anticipare la tornata elettorale per rimanere a capo del governo di Dublino. A spoglio quasi completato, il suo partito Fine Gael è dietro agli alleati di governo, i liberali di Fianna Fáil. Si prospetta un avvicendamento interno alla coalizione, con l’ex Taoiseach liberale Micheál Martin che potrebbe rilevare Harris alla guida del Paese. Ma i due partiti di centro-destra devono prima cercare un terzo alleato per raggiungere la maggioranza, visto il crollo dei Verdi.
Secondo i dati diffusi dall’Irish Times, il Fianna Fáil dell’ex premier Martin è risultato il partito più votato con il 21,86 per cento dei voti, davanti al Fine Gael di Harris al 20,8 per cento. I due partiti che si succedono al governo da quando l’Irlanda ha ottenuto l’indipendenza dal Regno Unito nel 1921 sono riusciti a tenere dietro Sinn Fein, il partito unionista di sinistra erede dell’ala politica dell’Ira, dato in leggero vantaggio prima della consultazione elettorale. Sinn Fein, guidato da Louise McDonald, si è fermato al 19 per cento. “Il centro ha resistito”, ha dichiarato soddisfatto Paschal Donohoe, presidente dell’Eurogruppo e una delle figure di spicco del Fine Gael, anch’egli rieletto domenica. “Ma abbiamo ancora molto lavoro da fare”, ha aggiunto.
Finora sono stati assegnati 162 seggi sui 174 del Dáil, la camera bassa del Parlamento di Dublino. Il Fianna Fáil ne ha ottenuti 43, mentre Fine Gael e Sinn Fein se ne spartiscono 36 a testa. È molto probabile che i due grandi partiti di centro-destra si fermino a una manciata di seggi dagli 88 necessari per governare. Ed avendo entrambi escluso una collaborazione con Sinn Fein, dovranno individuare il nuovo terzo polo dell’esecutivo. Nel governo Harris, a completare la coalizione con Fine Gael e Fianna Fáil erano i Verdi, ma il partito ecologista irlandese – seguendo un pattern già visto in Francia, in Germania e alle elezioni europee di giugno – è crollato, conquistando un solo seggio al Dáil.
I candidati più papabili sono il partito laburista o i socialdemocratici, che hanno ottenuto rispettivamente 9 e 11 seggi. Entrambi, alla luce dei risultati, si sono finora mostrati cauti, non escludendo esplicitamente di entrare in una coalizione con liberali e centro-destra, ma affermando di voler prima parlare tra loro e con altri partiti. Pur mostrandosi possibilista, la leader laburista Ivana Bacik ha dichiarato che la sua priorità è “costruire una piattaforma a sinistra”. In alternativa, Martin ed Harris dovranno cercare un asse comune con alcuni dei 23 candidati indipendenti che siederanno al Dáil.
In un’Irlanda segnata da un lato da un’economia che prospera, grazie soprattutto da una tassazione favorevole che attira i giganti dell’hi-tec, e dall’altro da una profonda crisi abitativa e dall’aumento del costo della vita, l’affluenza alle urne è stata storicamente bassa, pari al 59,7 per cento. La più bassa degli ultimi cento anni, dal 1923. Per la prima volta, al centro della campagna elettorale è entrato anche il discorso immigrazione – percepito dalla popolazione come strettamente legato alla crisi abitativa -, con i partiti di centro-destra a promettere un duro giro di vite e il Sinn Fein a rincorrere.
A rispondere in prima persona ai 5,4 milioni di cittadini irlandesi sarà verosimilmente il liberale Micheál Martin – attuale ministro degli esteri del governo Harris -, che potrà rivendicare la carica di primo ministro, già occupata prima dell’insediamento di Harris ad aprile 2024. Cambierà poco a Dublino, i due partiti si sovrappongono su molti punti dei loro programmi. A Bruxelles, un primo ministro liberale in più ridurrà lievemente l’egemonia del Partito Popolare Europeo tra i capi di stato e di governo dell’Ue.