Bruxelles – Non accenna a fermarsi la crisi del settore automotive che coinvolge il gruppo Volkswagen in Germania. Dopo aver minacciato di chiudere numerose fabbriche, è arrivata la risposta dei lavoratori e dei sindacati del settore metallurgico con proteste e scioperi nella giornata di oggi (2 dicembre).
La chiusura delle fabbriche, che comporterebbero il taglio di migliaia di posti di lavoro, è un enorme problema per i lavoratori tedeschi, che si aggiunge all’assenza di un accordo sui contratti collettivi. Il sindacato Ig Metall ha organizzato “scioperi di avvertimento” in quasi tutte le sedi del gruppo, compresa la sede principale della casa automobilistica a Wolfsburg.
Secondo quanto riporta l’agenzia Agence France Press (Afp), questa decisione potrebbe essere la “prima tappa di un movimento sociale che potrebbe raggiungere proporzioni senza precedenti”. I sindacati non hanno intenzione di mollare la presa, come avevano preannunciato.
“Volkswagen ha appiccato il fuoco ai nostri accordi collettivi e invece di spegnere questo incendio in tre sessioni di contrattazione collettiva, il Consiglio di Amministrazione vi sta gettando barili di benzina aperti”, sono le parole molto decise del responsabile del team di contrattazione collettiva interna di Volkswagen Thorsten Gröger. Ancora più chiaro è l’avvertimento che arriva da Gröger: “Se necessario, questa sarà la più dura battaglia di contrattazione collettiva che Volkswagen abbia mai visto.”
La questione è rimasta in sospeso dal mese di settembre, quando il gruppo Volkswagen ha annunciato di dover prendere delle decisioni per restare competitivo sul mercato, a causa dei costi troppo alti della produzione e delle difficoltà a rendere fruttuoso l’investimento sull’elettrico. La drastica decisione di chiudere degli stabilimenti ‘rami secchi’ è arrivata dopo aver constatato che i costi della produzione sono “attualmente dal 25 al 50 per cento più alti” del previsto, secondo il responsabile della divisione Vokswagen Thomas Schaefer.
La crescita zero della Germania è il punto di partenza della crisi, ma è la prima volta nella storia di Volkswagen in cui si decide di agire sulle fabbriche nazionali. Tre i negoziati (infruttuosi) con i sindacati, senza alcun risultato e la quarta tornata, secondo quanto riportato da Afp, sarà il 9 dicembre con presupposti non ottimali, visto il rifiuto da parte della direzione Volkswagen di una controfferta dei sindacati, definita “impraticabile”.
La crisi economica di uno dei marchi simbolo della Germania si sta svolgendo parallelamente ad una crisi politica non indifferente, con il crollo della coalizione di governo e l’indizione di elezioni anticipate. Dopo la caduta del governo dell’ormai ex-cancelliere Olaf Scholz, sul tavolo politico si fa spazio il dibattito su come risollevare l’industria tedesca. In vista delle elezioni del 23 febbraio, i candidati dovranno puntare su una strategia convincente per il settore, che resta il traino delle esportazioni tedesche, non scordando gli impegni della Germania a livello europeo.
L’Italia osserva preoccupata. Il Pd chiede “un’iniziativa urgente” di Bruxelles
Dilaga a macchia d’olio questa crisi, colpendo anche nel resto dei paesi europei, come l’Italia, in cui preoccupano le dimissioni di Carlo Tavares, l’amministratore delegato del gruppo Stellantis (che ricomprende vari marchi italiani, tra cui Fiat e Lancia).
“In Germania, i sindacati stanno reagendo con forza, annunciando il più grande sciopero nella storia del gruppo Volkswagen“, dicono gli eurodeputati del Partito democratico. All’Ue gli europarlamentari democratici chiedono di tutelare i lavoratori, senza usare come capro espiatorio il Green Deal e, per risolvere una crisi industriale, abbandonare la transizione verde. Dalla Commissione, si aspetta “un’iniziativa urgente in cui venga chiarito quanto prima come si intenda approcciare la crisi del settore automotive e come si intenda supportare la transizione verde del settore automotive”.
“La crisi è europea, come dimostrano gli scioperi in Germania e le chiusure di stabilimenti in Belgio, e serve una risposta europea”, per gli eurodeputati del Movimento 5 Stelle Gaetano Pedullà e Pasquale Tridico. Continuano i due membri del Parlamento Ue: “Nessun finanziamento a pioggia ma precise condizionalità che permettano al settore automotive di programmare i necessari investimenti richiesti per le auto elettriche“.
Grandi aspettative per l’Ue e il suo nuovo esecutivo capeggiato nuovamente da von der Leyen. I nuovi Commissari, tra cui la tanto discussa Teresa Ribera alla transizione verde, ma anche Apostolos Tzitzikostas che si occupa di trasporti, dovranno dimostrare di essere all’altezza delle sfide che si profilano nel settore automotive, che ora più che mai, ha bisogno di una strategia comune per non diventare un buco nero per l’economia europea.