Bruxelles – Come già anticipato negli scorsi giorni, a Strasburgo i gruppi politici dell’Eurocamera si stanno posizionando in vista del voto sulla nuova Commissione guidata da Ursula von der Leyen, previsto per domani (27 novembre). La maggioranza centrista – Popolari (Ppe), Socialisti (S&D) e liberali (Renew) – dovrebbe tenere, al netto delle defezioni che pure si annunciano in numeri non insignificanti.
La novità, rispetto al voto dello scorso luglio sul bis della presidente uscente ed entrante, è nel supporto che arriverà (o mancherà) dall’esterno del perimetro ufficiale della coalizione europeista: i Verdi sono spaccati e diverse delegazioni si sfileranno, come anche tra i socialisti, mentre parti dei Conservatori e riformisti (Ecr), tra cui soprattutto i meloniani, sosterranno il nuovo Collegio. Le opposizioni di estrema destra e sinistra radicale confermano il loro “no” al prossimo esecutivo comunitario.
Chi voterà il secondo Collegio von der Leyen
“È arrivato il momento di iniziare a lavorare, per questo il Ppe sosterrà il Collegio e voterà a favore”, ha dichiarato ai giornalisti Manfred Weber, capo “assoluto” dei Popolari (il bavarese è presidente sia del gruppo parlamentare sia del partito pan-europeo dei cristiano-democratici). Secondo lui, “la proposta della Commissione è molto equilibrata, vuole unire l’Europa dal punto di vista politico tra i diversi gruppi e dal punto di vista delle regioni” geografiche, mentre “anche dal punto di vista dell’agenda” rispecchia le linee guida illustrate da von der Leyen in estate. Tra i Popolari ci si aspetta circa una trentina di voti contrari: i 22 eletti col Partido popular spagnolo, i cinque sloveni dell’Sds e, forse, anche i sei Républicains francesi.
I socialdemocratici, nel frattempo, sono in fibrillazione. La posizione definitiva del gruppo verrà decisa solo nella tarda serata di oggi, dopo una riunione dell’ultimo minuto in cui le varie delegazioni cercheranno un punto di caduta. I 13 deputati francesi capitanati da Raphaël Glucksmann hanno già annunciato che voteranno “no” in Aula, mentre i 14 dell’Spd tedesca sono in bilico. Contando anche gli altri indecisi (belgi e olandesi tra gli altri), a von der Leyen potrebbero mancare una trentina abbondante di voti dall’S&D. La capogruppo Iratxe García Pérez ha sottolineato che “rispettiamo queste differenze” tra i partiti nazionali, ma che i socialisti europei saranno “all’altezza della situazione” e agiranno “responsabilmente” per far sì che il nuovo esecutivo comunitario entri in carica il prossimo primo dicembre.
Anche tra le fila di Renew non mancano i malumori, che potrebbero tradursi in una decina di astensioni nel voto sul Collegio. Ma, considerato anche il trasferimento di una serie di competenze dal portafoglio del commissario ungherese Olivér Várhelyi alla liberale belga Hadja Lahbib – “si tratta di ridurre il potere di Fidesz (il partito del premier Viktor Orbán, ndr) e di garantire la tutela della salute riproduttiva alle donne”, nelle parole della capogruppo Valérie Hayer – il resto del gruppo dovrebbe esprimere voto favorevole.
Più complicata la situazione in casa Verdi. Il co-capogruppo Bas Eickhout ha detto di aspettarsi che “una piccola maggioranza” (si parla di una o due persone) degli ambientalisti confermi il sostegno a von der Leyen bis, come già a luglio. Ma la compagine ecologista è profondamente divisa, perché a diverse delegazioni non è andata giù la vicepresidenza esecutiva della Commissione affidata al meloniano Raffaele Fitto. I quattro eletti italiani con Avs e almeno altri tre eurodeputati dovrebbero votare contro al nuovo Collegio, mentre i 15 tedeschi dovrebbero garantire il “sì”.
Il sostegno dei Conservatori sarà a questo punto essenziale per approvare il prossimo esecutivo comunitario. La pattuglia di Fratelli d’Italia, che con 24 deputati è la più nutrita del gruppo, voterà a favore insieme ai fiamminghi di N-Va e i cechi di Ods (3 seggi ciascuno). A opporsi alla seconda Commissione von der Leyen saranno invece i 20 eletti polacchi del PiS.
All’opposizione ci saranno invece il gruppo della sinistra radicale (The Left), che ospita i due eletti di Sinistra italiana in quota Avs e gli otto del M5s, e quelli dell’estrema destra, i Patrioti per l’Europa (PfE), dove siedono gli otto leghisti, e i sovranisti dell’Esn. Per la co-capogruppo della Sinistra in Aula, Manon Aubry, “il voto di domani sancirà la nascita della Commissione più a destra della storia europea, con l’appoggio dei Socialisti e dei Verdi che hanno ceduto su tutta la linea”: un voto che vedrà il “no” unanime dell’estrema sinistra, che si rammarica di essere rimasto l’unico gruppo “a battersi contro le destre europee”.
Cambio di maggioranza?
Le parole di Aubry puntano i riflettori sul nodo politico centrale relativo al voto di domani, cioè quello intorno al quale si era inceppato il processo di approvazione dei candidati commissari (e soprattutto dei sei vicepresidenti esecutivi) negli scorsi giorni. Si tratta del possibile allargamento della maggioranza parlamentare, che dal centro-sinistra potrebbe finire per includere la destra radicale dell’Ecr, o per lo meno alcune delegazioni come quella di FdI.
Un allargamento voluto e rivendicato da Weber, secondo cui “Ecr è stato cruciale” per approvare i commissari designati nella fase delle audizioni parlamentari, agendo come forza “responsabile”. Il re è nudo: “Stavo lavorando a quest’ampia maggioranza”, ha ammesso durante una conferenza stampa all’Europarlamento, parlando di un grande “centro costruttivo” che va “dai Verdi all’Ecr, verso una parte ragionevole delle forze conservatrici” dell’emiciclo per dare “stabilità” ai lavori del Parlamento. Per il leader bavarese, le linee rosse sono il rispetto dello Stato di diritto, l’europeismo e il sostegno all’Ucraina, il che rende impossibile una “cooperazione strutturale” con l’estrema destra ma anche, in area Ecr, con i polacchi del PiS.
Uno spostamento di baricentro verso destra che sta venendo osteggiato dagli alleati tradizionali del Ppe. A sentire García Pérez, i Socialisti lavoreranno “per ampliare la maggioranza, perché i Verdi possano rientrare in questa piattaforma pro-europea”. “Il gruppo S&D ha negoziato con il Ppe, con Renew e con i Verdi, queste sono le forze con cui il nostro gruppo parlerà” durante la legislatura appena avviata, ha ribadito, chiudendo la porta ai Conservatori: “Il gruppo dei Socialisti è impegnato a lavorare con le forze politiche che vogliono mandare avanti l’Europa, e in nessun caso Ecr rientra in questa condizione”.
In linea di principio, il discorso vale anche per i liberali. “La maggioranza di questo Parlamento europeo, per me, è attorno ai tre gruppi Ppe, S&D e Renew”, ha incalzato Hayer, sostenendo che “è chiaramente questa la maggioranza che funziona, e bisogna farla con i Verdi che sono un gruppo pro-europeo estremamente costruttivo”. Quanto all’Ecr, però, la capogruppo si è lasciata sfuggire che “è un gruppo molto eterogeneo” e che non si può mettere “sullo stesso piano il Reconquête francese o il Pis polacco con il N-Va belga”, ammettendo che esiste “questa distinzione tra le delegazioni con cui possiamo lavorare”, come sostengono i Popolari. “Per il resto, nessuna cooperazione politica strutturale”, ha assicurato. Staremo a vedere.
Un altro distinguo, stavolta però all’interno del Ppe, lo ha tracciato Eickhout. “È molto chiaro che Ursula von der Leyen sta prendendo le distanze dalla strategia di Manfred Weber”, ha osservato parlando ai cronisti. Secondo il co-capogruppo degli ambientalisti, il leader dei Popolari “ha cercato di cacciare i Verdi e non è riuscito a farlo” e di conseguenza “ora dice di essere molto contento di avere una larga maggioranza”. Ma, ha continuato Eickhout, la presidente dell’esecutivo comunitario “ha chiarito bene che la coalizione con cui vuole lavorare è quella pro-europea” composta da Ppe, S&D, Renew e i Verdi, cioè “l’unica maggioranza stabile che è prevedibile” in quest’Aula. Gli ha fatto eco l’omologa Terry Reintke, secondo cui “von der Leyen fa parta di quella parte del Ppe che vuole lavorare con le forze pro-europee democratiche” mentre Weber avrebbe “interessi diversi”.
I numeri della Commissione europea
Nel voto cruciale di domani, la presidente della Commissione dovrà ottenere la maggioranza semplice dei voti espressi: se tutti e 720 i deputati fossero presenti e votassero, il numero magico sarebbe fissato a 361, ma in realtà la sufficienza “tecnica” tra astenuti ed assenti è più bassa. Il problema di scendere al di sotto sarebbe però politico. Al momento attuale, sembra che von der Leyen non riuscirà a ripetere il risultato di luglio, quando aveva raccolto 401 consensi. In quell’occasione, la sua rielezione era stata assicurata dal sostegno dei Verdi, che avevano compensato le defezioni nei tre gruppi centristi, mentre altre delegazioni che domani voteranno “sì” si erano opposte quattro mesi fa (come appunto quella di FdI).
Nel luglio del 2019, von der Leyen era stata eletta presidente la prima volta con 383 voti, appena nove in più della maggioranza assoluta dell’epoca. Era stata salvata da tre partiti nazionalisti e populisti: il PiS polacco, il Fidesz ungherese e il M5s italiano, che domani si esprimeranno tutti contro al bis. Al momento dell’investitura dell’intero Collegio, nel novembre di cinque anni fa, i voti a favore erano stati 461, i contrari 157 e gli astenuti 89.