Bruxelles – Fino a ieri sera si poteva dire che “questa Commissione europea non s’ha da fare”, come nei Promessi Sposi. Poi l’accordo scritto tra popolari (Ppe), liberali (Renew) e socialisti e democratici (S&d) ha portato il sereno, ma ha anche fatto emergere la fragilità della maggioranza europea. Anna Bosco, docente all’Università degli Studi di Firenze di “Politica dell’Unione europea”, ha risposto alle nostre domande per commentare l’attuale situazione di difficoltà politica nell’Ue.
Professoressa Bosco, sarebbe stato possibile sciogliere il Parlamento europeo qualora non avesse approvato la nuova Commissione?
Bosco: “No, il Parlamento europeo non si può sciogliere, è stato eletto dai cittadini europei. In riferimento alla Commissione, quello che il Parlamento può fare, come è accaduto per ora solo una volta, è muovere una mozione di censura contro l’esecutivo Ue, che però deve già essere insediato. Ci sarebbe però potuta essere una continua pressione per cambiare la composizione dei commissari, quindi, ancora lavoro per von der Leyen.
Mentre i trattati parlano di approvazione della Commissione, quindi di tutto il collegio, nel regolamento interno del Parlamento europeo si parla di elezione della Commissione, il che ovviamente non è corretto. Allo stesso tempo, rafforza l’idea del Parlamento che cerca sempre di guadagnare nuovi poteri nei rapporti nei confronti con le altre istituzioni”.
La formale approvazione della Commissione europea avverrà con la votazione di mercoledì prossimo alla plenaria di Strasburgo, anche se sappiamo che ieri è stato raggiunto un compromesso politico. Senza l’approvazione, cosa può succedere?
B: “Si torna al passo precedente alle audizioni, cioè la presidente della Commissione dovrebbe trovare un nuovo collegio di Commissari e accordarsi con gli Stati membri. Passerebbe molto altro tempo per ripetere il procedimento dall’inizio e giungere ad una nuova approvazione dal Parlamento”.
Per quanto riguarda la presidente della Commissione, il suo ruolo viene toccato da un’eventuale bocciatura del Parlamento al suo collegio?
B: “No, resta in carica”.
Guardando ai dibattiti in seno al Parlamento europeo, risulta evidente la fragilità degli equilibri in Ue. Nel concreto, quanto i gruppi politici sono autonomi rispetto ai propri governi nazionali e dai partiti politici di appartenenza a livello nazionale?
B: “I gruppi politici sono composti dai rappresentanti di molti partiti nazionali e ogni partito può spesso avere la propria posizione, tant’è vero che prima dell’elezione di von der Leyen 2 era chiaro che doveva esserci una maggioranza ben maggiore del 50 per cento più uno. Detto questo, l’autonomia dei singoli partiti, ma soprattutto dei singoli eurodeputati, è molto variabile. È difficile fare un discorso generale, lo spazio di manovra dipende da molti fattori, può essere maggiore o minore a seconda delle circostanze, come se il proprio partito è al governo o all’opposizione, oppure in base all’importanza per quel partito di una specifica questione. La situazione attuale ha mostrato pochissima autonomia.
I rappresentanti europei del partito popolare spagnolo hanno fatto quello che Feijóo (presidente del partito popolare spagnolo, n.d.r.) chiedeva, cioè mettere in difficoltà Sanchez. Abbiamo proprio una questione nazionale in cui, da un lato i socialisti, dall’altro i popolari spagnoli, hanno agito a stretto contatto con i propri leader, per non parlare dei sei esponenti di Vox (partito di estrema destra spagnolo, n.d.r.). Altro aspetto molto importante è quello delle spaccature dei gruppi a livello europeo, che si nota anche in queste vicende”.
Come analizzerebbe lei, dal punto di vista istituzionale, il continuo cambio di maggioranze con europeisti ed euroscettici di cui è protagonista il Ppe?
B: “Secondo me è legato, e non potrebbe essere diversamente, ai risultati delle elezioni del 2024. Risultati che permettono al Ppe su alcune politiche di flirtare con le formazioni più a destra, in particolare con i conservatori e riformisti (Ecr). Tutto questo lavoro, alla fine, ha pienamente legittimato Ecr come alleato possibile dei popolari“.
Anche se le sinistre sono rimaste amareggiate, in Ue gli occhiolini all’estrema destra dei popolari non sono sfuggiti, a partire dalla cosiddetta ‘maggioranza Venezuela‘.
B.: “Ci sono dei paesi a cui questa scelta di Weber non piace. Un esempio è la Polonia, in cui si scontra Piattaforma Civica (partito di centro a vocazione europeista, ndr), parte del Ppe, contro il PiS (partito nazionalista, ndr), che fa parte invece di Ecr. Essendo in competizione, non c’è possibilità di accordo. Lo stesso vale in Ungheria, dove Tisza (partito di centro destra) è nel Ppe e naturalmente è contro Orbán, quindi contro i patrioti”.
Come giudica, nel complesso, questa vicenda?
B.: “Abbiamo avuto l’intersecarsi di diversi piani: un piano nazionale spagnolo, cioè la politica di polarizzazione spagnola che va avanti dal 2004, e poi si è riversata in Europa. Lo ha dimostrato l’audizione di Teresa Ribera, che stata durissima da parte degli esponenti del Ppe spagnolo.
Su questa vicenda è saltato il Ppe, che ha in questo modo legittimato sia i conservatori sia i riformisti, sia la sua libertà di manovra. E poi c’è stato, secondo me, il tentativo di mettere in pessima luce Pedro Sánchez, l’unico leader di una forza socialdemocratica di un grande paese europeo rimasto in piedi”.