Bruxelles – La competitività industriale dell’Europa passa per il suo acciaio, e la Commissione europea che verrà dovrà agire in modo deciso per sostenere un settore già in crisi e messo a dura prova dalla transizione sostenibile. Le imprese del settore non si tirano indietro, ma chiedono garanzie. Una su tutte: sostegno finanziario. “Abbiamo bisogno di sovvenzioni pubbliche per il processo di convergenza“, scandisce Mario Arvedi Caldonazzo, vicepresidente di Eurofer e amministratore delegato di Arvedi spa nel dibattito organizzato in Parlamento europeo.
La sovra-produzione globale, prima fra tutte quella cinese, è alla base di una lenta emorragia che dal 2008 ha visto una riduzione del 30 per cento e portato alla perdita di quasi 100mila posti di lavoro. A questo si aggiunge un’agenda europea giustamente ambiziosa ma eccessivamente per la siderurgia. “La domanda che voglio porre alla nuova Commissione – continua il vicepresidente di Eurofer – è: vogliamo ancora un’industria dell’acciaio? Se la risposta è ‘sì’ allora serve rapidamente un piano d’azione per il settore” dell’acciaio.
Questo piano d’azione passa per almeno due strade: una commerciale e una energetica. La prima implica una decisione muscolare nei confronti della Cina. Perché, spiega Caldonazzo, “l‘industria siderurgica cinese è fondamentalmente di proprietà dello stato, e questo è scorretto”, e contro questa politica di concorrenza sleale “dobbiamo intervenire per rivedere le garanzie e prepararci eventualmente alla tariffazione”. Quindi dazi.
Quanto all’aspetto produttivo, continua
il numero due di Eurofer, “
decarbonizzazione significa elettrificazione“. Perciò “se non abbiamo un mercato elettrico competitivo, soprattutto dal punto di vista dei costi, avremo un fallimento e non avremo alcuna transizione verde”. Un contributo al ragionamento che l’industria europea dell’acciaio ha già avviato e che sta per produrre un documento per una “revisione” dell’organizzazione elettrica europea. Un documento che Arvedi Caldonazzo anticipa e che consegnerà al nuovo esecutivo comunitario.
L’invito è ‘pensare meno europeo’ di quanto fatto fin qui. “Sono un europeo fiero, ma invidio gli Stati Uniti”, confida il vicepresidente di Eurofer. Oltre Atlantico, spiega, “quando decidono di crescere crescono, quando vogliono investire investono, e lo fanno con pragmatismo, senza ideologie”. Un messaggio per Ursula von der Leyen, presidente uscente ed entrante della Commissione europea.
Se da una parte il mondo dell’industria europea dell’acciaio trova il sostegno della politica a dodici stelle, dall’altra parte la stessa politica mantiene un approccio cauto sul sostegno finanziario. E’ vero, riconosce l’europarlamentare del Ppe e membro della commissione Industria dell’europarlamento, Christian Ehler, che “serve pragamatismo”, ma bisogna respingere “l’illusione che i contributi pubblici siano la risposta a tutti i problemi”. Una critica a Mario Draghi e al suo rapporto, con le richieste di titoli di debito pubblico per finanziare il rilancio in grande stile di economia e competitività dell’Ue. “Serve un mercato europei dei capitali”, insiste l’esponente del Ppe, che non vede nella soluzione pubblica la priorità.
Il vicepresidente della commissione Industria del Parlamento europeo, Giorgio Gori (Pd/S&D), offre una sponda più ampia. “Il tempo per un piano d’azione per l’acciaio è adesso“. Un invito alla prossima Commisisione a presentarlo e al Parlamento a sostenerlo. Ammette che “non sarà facile reperire tutte le risorse di cui l’Ue ha bisogno”, e che per questo “diventa fondamentale definire priorità”, e in questo senso non c’è dubbio per l’esponente socialista che “l’acciaio è una priorità”.