Bruxelles – C’è un filo rosso che tiene insieme in Bruxelles, Rio de Janeiro, Valencia e Madrid. È quello delle trattative sotterranee per sbloccare l’impasse che da giorni sta paralizzando l’Ue, tenendo sospesa l’approvazione finale alla seconda Commissione guidata da Ursula von der Leyen. I pontieri stanno lavorando per demolire il muro che Popolari e Socialisti europei hanno eretto gli uni nei confronti degli altri, prendendo in ostaggio i vicepresidenti designati Teresa Ribera e Raffaele Fitto.
Sono ore concitate nella capitale europea, dove crescono le pressioni sui leader parlamentari delle famiglie politiche centriste per trovare al più presto una quadra che permetta di far partire il nuovo Collegio il primo dicembre. L’alternativa, cioè lo slittamento a gennaio (pericolosamente a ridosso dell’inaugurazione di Donald Trump come 47esimo presidente degli Stati Uniti, fissata per il 20 di quel mese), non piace a nessuno. La stessa presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola, ha ribadito che il voto sul nuovo esecutivo comunitario è in calendario per il prossimo 27 novembre, durante la plenaria a Strasburgo.
Verso un accordo a Bruxelles
Secondo indiscrezioni giornalistiche, nella serata di lunedì (18 novembre) si sarebbero incontrati Manfred Weber, Iratxe García Pérez e Valérie Hayer – cioè i capigruppo di Popolari (Ppe), Socialisti (S&D) e liberali (Renew) – per trovare un punto di caduta sulle nomine dei sei vicepresidenti esecutivi del von der Leyen bis (più il commissario designato ungherese Olivér Várhelyi, pure lui in bilico), consentendo al nuovo Collegio di entrare in carica il mese prossimo. Fonti parlamentai hanno confermato a Eunews che si sta lavorando all’elaborazione di un “accordo scritto di coalizione”, che metta nero su bianco l’impegno da parte dei cristiano-democratici di non collaborare strutturalmente con i gruppi alla propria destra, a partire dai Conservatori e riformisti (Ecr) guidati dalla premier italiana Giorgia Meloni.
Gli altri partner della maggioranza europeista (Socialisti e liberali, membri della cosiddetta “piattaforma” insieme ai Popolari, ma anche i Verdi, che lo scorso luglio sono stati determinanti per la rielezione di von der Leyen) sono rimasti scottati dall’allineamento che Weber sta imponendo al Ppe, facendolo votare compattamente nell’emiciclo insieme a Ecr, Patrioti (PfE) e sovranisti (Esn). Per identificare questa coalizione alternativa è stato coniato il termine “maggioranza Venezuela”, dato che l’asse delle destre si è manifestato per la prima volta in occasione della risoluzione dell’Aula in cui si bollava come illegittima la rielezione del presidente Nicolás Maduro alla guida del Paese sudamericano. La proverbiale goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il voto relativo al Regolamento sulla deforestazione (Eudr), il primo in cui questa maggioranza alternativa si è formata intorno ad un testo legislativo.
Come siamo giunti qui
Queste tensioni politiche stanno avendo dei pesanti riflessi sulla nascita della nuova Commissione, tenuta in ostaggio da settimane dai veti incrociati che Popolari e Socialisti europei hanno posto, rispettivamente, sulla vicepresidente designata spagnola Teresa Ribera e su quello italiano Raffaele Fitto. La prima è finita nel mirino del Partido popular spagnolo (Pp), terza delegazione all’interno del Ppe con 22 deputati: i conservatori guidati da Alberto Núñez Feijóo vogliono la testa della vicepremier di Pedro Sánchez (entrambi fanno parte del Psoe, il Partito socialista spagnolo) perché la ritengono responsabile dell’ecatombe provocata dalle alluvioni nella regione di Valencia di fine ottobre.
Il dibattito politico spagnolo si è surriscaldato molto in questi giorni, al punto che – dopo aver chiesto, inutilmente, al premier Sánchez di proporre un altro profilo per la Commissione Ue diverso da quello della ministra alla Transizione ecologica – il Pp ha minacciato di votare contro all’intero Collegio dei commissari a Strasburgo se Ribera dovesse farne parte. Numeri alla mano, è verosimile che la pattuglia capitanata da Dolors Montserrat non risulti determinante per il via libera al von der Leyen bis, ma produrrebbe una spaccatura all’interno dei Popolari europei.
In risposta all’ostruzionismo di Pp e Vox, il partito neo-franchista che all’Europarlamento siede nei banchi dei Patrioti e che governa insieme ai populares nella Generalitat valenziana, i Socialisti (insieme ai liberali e ai Verdi) hanno bloccato l’approvazione del vicepresidente designato Fitto, dicendosi indisponibili a cooptare al più alto rango dell’esecutivo comunitario un membro di un partito della destra radicale, e quella del candidato commissario ungherese Olivér Várhelyi, fedele del primo ministro Viktor Orbán.
I colloqui di Rio
Lo stallo alla messicana così prodotto è sembrato per un po’ senza via di uscita, ma pare che ci si stia avviando verso una soluzione, che è poi l’unica possibile a questo punto. Ai margini del summit G20 in corso a Rio de Janeiro, Pedro Sánchez ha avuto un colloquio informale con von der Leyen, definito da fonti del Psoe come positivo: entrambi sarebbero “in sintonia per riuscire a procedere con le nomine previste per la Commissione”, si legge sui media spagnoli.
Il primo ministro e la presidente dell’esecutivo comunitario “hanno la stessa posizione”, vale a dire sono intenzionati a “mantenere l’accordo con il quale è stata disegnata la Commissione europea” la scorsa estate dai leader dei Ventisette e che, secondo i Socialisti europei, sta venendo messo a repentaglio dalla spregiudicatezza del Ppe di Weber e von der Leyen. Il do ut des funzionerebbe così: Sánchez e il suo Psoe convinceranno i coordinatori S&D a votare in favore di Fitto, in cambio della rimozione del veto su Ribera da parte del Ppe, che quindi dovrebbe smarcarsi dalla delegazione spagnola.
La doppia partita di Madrid e Valencia
L’ultimo tassello di questa intricata vicenda arriva dalla Spagna, ma non è ancora completo. Una delle sue due facce arriverà domani (20 novembre) da Madrid. Lì, la vicepremier Ribera comparirà davanti ad entrambe le Cortes, cioè i due rami del Parlamento bicamerale: al Congreso de los diputados in mattinata (su propria iniziativa) e nel pomeriggio al Senado (convocata dai populares di Feijóo, che detengono la maggioranza in quell’Aula).
Si tratterà di un passaggio eminentemente politico, dato che non dovrebbe essere votata alcuna mozione di sfiducia nei confronti della ministra, la quale difenderà l’operato del governo centrale e ricorderà al suo pubblico che, nella struttura fortemente decentrata dello Stato spagnolo, la responsabilità per la gestione dell’emergenza era invece del presidente della Generalitat Valenciana, il popolare Carlos Mazón.
E proprio dal Parlamento regionale di Valencia potrebbe arrivare l’ultimo pezzo del puzzle. I partiti di centro-sinistra stanno cercando di mettere all’ordine del giorno un voto per sfiduciare Mazón e sostituirlo con un tecnico, lasciando il Pp a guida della Generalitat per il tempo necessario alla ricostruzione ma concordando la convocazione di nuove elezioni nel 2025. Senza i deputati populares, però, non ci sono i numeri per far cadere Mazón.
Da Rio a Madrid, da Valencia a Bruxelles, tutto si tiene nella complessa partita politica che sta sovrapponendo le dispute nazionali spagnole con la delicata formazione dell’esecutivo comunitario. Il Ppe ha reso note le sue “condizioni” per non mettersi di traverso alla conferma di Ribera: che la vicepremier si presenti in Aula per riferire sulla catastrofe di Valencia e che si impegni a dimettersi (sia dal governo che dal ruolo di numero due di von der Leyen) nel caso in cui venisse incriminata dalla giustizia spagnola per la gestione del disastro di fine ottobre.