Bruxelles – Torna a ripetere che sì, “è indispensabile” ragionare a forme di “finanziamenti comuni” per l’agenda politica europea, ma Mario Draghi ribadisce una volta di più che “non è la prima cosa”. La vera decisione che serve è innanzitutto politica, e riguarda le cose da fare. “Quello che l’Europa non può più fare è posporre le decisioni” che servono per rilanciare l’Unione europea in un contesto globale profondamente cambiato e sempre più irto di ostacoli. L’ex primo ministro italiano e autore del rapporto sulla competitività concepito per dare nuova linfa all’Europa prova a sferzare i capi di Stato e di governo riuniti a Budapest per il vertice informale dei leader. E a loro Draghi chiede proprio questo, di essere leader.
Serve uno scatto in avanti ancor più deciso adesso, ragiona con la stampa a margine dei lavori del vertice l’ex primo ministro. Con la vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali americane “ci sono grandi cambiamenti in vista” e anche per questo l’Europa non dovrà più tentennare né rinviare l’attuazione di scelte ambiziose. In “tutti questi anni – ricorda Draghi – si sono posposte tante decisioni importanti, perché aspettavamo il consenso”. Invece, lamenta, “il consenso non è venuto: è arrivato solo uno sviluppo più basso, una crescita minore, oggi una stagnazione“. Quindi, a questo punto, “io mi auguro che ritroveremo uno spirito unitario con cui riusciremo a trarre il meglio da questi grandi cambiamenti”. Altrimenti l’Europa fallirà. Andare in ordine sparso non può essere un’opzione, avverte, perché “siamo troppo piccoli, non si va da nessuna parte”. Soprattutto se la prossima amministrazione americana andrà in direzione contraria agli interessi europei.
Draghi non ha dubbi: “Donald Trump tanto impulso darà nei settori innovativi e tanto proteggerà le industrie tradizionali, che sono proprio le industrie dove noi esportiamo di più negli Stati Uniti”. Vuol dire rimodulare commercio, economia, agende: “Dovremo negoziare con l’alleato americano, con uno spirito unitario, in maniera tale da proteggere anche i nostri produttori europei”.
Ecco perché non si può più rimandare. Questo vale per l’Ue così come pure per gli Stati membri, che a livello comune definiscono e sottoscrivono agende e strategie. Una su tutte la sicurezza e la difesa. Per Draghi arrivare ad una spesa per la difesa pari al 2 per cento del Prodotto interno lordo, come chiede la Nato, rispettando il patto di stabilità “è possibile”. Anche qui però “bisognerà prendere tutta una serie di decisioni”. L’Europa non ha grandi alternative. “Oggi bisogna decidere cosa fare, perché questa è la nuova situazione”.