Bruxelles – Rimane decisamente caldo il dibattito sulla politica migratoria europea e soprattutto sulla questione dei rimpatri, dopo che all’ultimo vertice i leader dei Ventisette hanno concluso che vanno esplorate “soluzioni innovative” per contrastare l’immigrazione irregolare. E sotto il fuoco incrociato dei gruppi progressisti dell’emiciclo di Strasburgo è finito l’ormai famigerato accordo tra Italia e Albania voluto dalla premier Giorgia Meloni (e gradito a Bruxelles) per l’esternalizzazione delle procedure d’asilo: una violazione del diritto comunitario e internazionale secondo i socialisti, un modello costoso e inefficace per i liberali e un campo di concentramento in stile Guantanamo per i Verdi.
I rimpatri difesi dalle destre
Reagendo all’intervento della commissaria all’Uguaglianza Helena Dalli, che aveva difeso le posizioni dell’esecutivo Ue sul nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo (espresse direttamente dalla presidente Ursula von der Leyen alla vigilia dell’ultimo summit in una lettera alle cancellerie), gli esponenti dei gruppi politici dell’Aula hanno detto la loro sul tema più controverso del nuovo approccio che Bruxelles pare intenzionata a seguire per gestire i flussi migratori irregolari.
Cioè quello dei rimpatri di coloro che si vedono rigettare dagli Stati membri le richieste d’asilo: “Dobbiamo mettere in essere un sistema comune europeo dei rimpatri e per questo abbiamo bisogno di un nuovo quadro normativo moderno”, ha dichiarato Dalli, sottolineando che la riforma della direttiva in materia (risalente al 2008) è bloccata dal 2018 e pertanto verrà presto avanzata dalla Commissione una nuova proposta legislativa “per rendere più efficaci i rimpatri e tutelare al contempo i diritti fondamentali e la dignità di chi è soggetto ad una procedura di rimpatrio”. Una posizione difesa dal suo Partito popolare europeo (Ppe), che con Tomas Tobé sottolinea come “dobbiamo recuperare il controllo della migrazione” a livello comunitario poiché “siamo noi e non i trafficanti a dover decidere chi può entrare in Europa”.
E sulla necessità di esternalizzare le procedure di rimpatrio segnalata dai cristiano-democratici sono d’accordo anche i gruppi della destra radicale. Il co-capogruppo dei Conservatori e riformisti (Ecr), Nicola Procaccini, ha scandito che in Ue non dovrebbe entrare “chiunque ma solo chi è perseguitato e chi possiamo accogliere con dignità e con possibilità di integrazione”. Per garantire che ciò accada, ha spiegato il meloniano, occorre “trattare il fenomeno migratorio prima che arrivi sul territorio europeo”, cioè adottare un approccio come quello seguito dalla premier italiana con i Cpr in Albania. L’esternalizzazione, ha aggiunto, “è già nel nuovo Patto” ed è precisamente la ragione per cui quest’ultimo “può essere considerato come un primo piccolo passo nella giusta direzione”. Pure per il capodelegazione leghista a Strasburgo, Paolo Borchia, va spezzata “l’illusione che in Europa esistano opportunità e possibilità illimitate di accoglienza”.
Sinistre, liberali e Verdi sulle barricate
Ma proprio contro l’asse che i Popolari sembrano intenzionati a formare con l’estrema destra si è scagliata la capogruppo socialista (S&D) Iratxe García Pérez, puntando il dito contro la “lettera della vergogna” di von der Leyen, alla quale non dev’essere permesso di “affossare” il Patto migratorio. “L’unica carta a cui siamo vincolati”, ha detto, “è la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, una carta che garantisce il diritto d’asilo e proibisce le espulsioni collettive e le deportazioni indiscriminate”, le quali “rappresentano l’applicazione più indegna dei valori del progetto europeo”.
Poi l’affondo contro l’apertura di Bruxelles e di altre capitali nei confronti del patto tra Roma e Tirana: “Ora che la giustizia italiana ha stabilito che l’accordo del governo Meloni con l’Albania è illegale, la signora von der Leyen deve abbandonare la sua proposta disumana e illegale di creare centri di espulsione in Paesi terzi”, ha bacchettato Pérez, aggiungendo che “è inaccettabile inginocchiarsi di fronte all’estrema destra per benedire un modello migratorio che viola i diritti umani” e che, peraltro, la stessa Commissione Ue riteneva illegale fino a pochi anni fa.
Un “modello di come non vanno fatte le cose”, le ha fatto eco Cecilia Strada (Pd), secondo la quale “il centro in Albania è un incubo logistico e un disastro giuridico, perché non rispetta le convenzioni internazionali e la stessa legislazione dell’Ue” e si configura come “una grave minaccia per i diritti umani” nonché “un danno economico piuttosto rilevante”, riferendosi ai costi ingenti sostenuti dallo Stato per trasferire i richiedenti asilo e, poco dopo, pure per riportarli indietro.
Sul nesso costo-efficienza degli hotspot italiani al di là dell’Adriatico ha insistito anche la capogruppo liberale (Renew Europe) Valérie Hayer: “Alla crisi del costo della vita oggi si aggiunge quella del costo del populismo”, ha dichiarato in Aula, sostenendo che quella per la gestione dei richiedenti asilo nei Cpr in Albania è “una somma astronomica, a spese del contribuente: come si fa a volersi ispirare ad un fallimento simile?”. “I trasferimenti verso l’Albania, che hanno tenuto solo qualche ora” sono per l’eurodeputata francese “un esempio di cattiva amministrazione” che “non solo non rispettano i nostri valori, ma non funzionano neppure”.
Ilaria Salis, eletta con Avs nelle fila della Sinistra (The Left) e proprio in queste ore al centro della bufera politico-giudiziaria che riguarda la sua immunità parlamentare contestata dall’Ungheria, ha definito quella in Albania una “vergognosa operazione di coloniale memoria”, tramite la quale “il governo italiano si è fatto avanguardia di un attacco europeo contro le migrazioni e il diritto”. Per lei, “il tentativo, per ora fallito, di esternalizzare la detenzione in un campo di concentramento sul territorio straniero e di accelerare le procedure di valutazione e rimpatrio dei migranti rappresenta una crudele sofferenza e una umiliazione per le persone deportate in alto mare, trattate come umanità sacrificabile”. Si tratta secondo Salis di “una prova di assoluta incompetenza” da parte delle autorità italiane e di “una inquietante forzatura da destra del diritto internazionale, che tutela i diritti delle persone in movimento”.
Su note simili si è espresso poco dopo Ignazio Marino, anche lui eletto con Avs ma membro del gruppo dei Verdi (Greens/Efa) a Strasburgo: il Cpr in Albania è “un lager al di fuori dei confini europei”, ha dichiarato, il cui precedente recente sarebbe il campo di prigionia di Guantanamo costruito dagli Stati Uniti a Cuba, dove gli internati sono “trattati al di fuori della legge”. “Ma nel caso di Guantanamo si tratta di sospetti di terrorismo”, mentre “qui si tratta del trattamento ‘olistico’ di persone disperate”, ha poi aggiunto ironizzando sul titolo del dibattito (che menzionava una ‘via olistica’ ad un’efficace politica europea sui rimpatri).
Un altro ecologista italiano, Leoluca Orlando, ha dichiarato in una nota che “gli accordi di deportazione e i centri di permanenza all’estero sono una risposta disumana, costosa e inefficace a una situazione complessa” come dimostrato dalla sentenza del tribunale di Roma, che ha evidenziato “le numerose problematiche legate ai diritti umani presentate da questi accordi”. “L’esternalizzazione della migrazione ignora l’obbligo legale dell’Ue di garantire l’accesso all’asilo sul proprio territorio e non è né pratica, né etica, né conveniente”, prosegue il comunicato, che riserva anche una stoccata all’esecutivo comunitario: “La Commissione è il custode dei trattati e deve aderire e promuovere lo Stato di diritto, non ignorarlo per compiacere i populisti. La presidente von der Leyen dovrebbe condannare le politiche di estrema destra, non considerarle opzioni serie”.