Bruxelles – I capi di stato e di governo dell’Ue si incontrano per concertare un’altra volta una risposta alle due maggiori crisi internazionali, l’inasprirsi degli attacchi russi in Ucraina e il conflitto in Medio Oriente che ha assunto ormai dimensioni regionali. Ma, giunti alla vigilia del vertice, a tenere banco tra i 27 è soprattutto la questione migrazione, tornata prepotentemente in auge a pochi mesi dall’approvazione del nuovo patto per la migrazione e l’asilo.
Tra i tre principali temi in agenda, l’Ucraina è sicuramente il meno divisivo. Ci sarà Volodymyr Zelensky, invitato dal presidente del Consiglio europeo ad esporre ai leader il “piano per la vittoria” presentato oggi al Parlamento a Kiev. All’intervento del presidente ucraino, seguirà il lavoro “sui prossimi passi per costruire un consenso intorno a un’iniziativa di pace radicata nei principi della Carta delle Nazioni Unite”, ha indicato Charles Michel nella sua lettera d’invito ai capi di stato e di governo dell’Ue. Nell’ultima bozza delle conclusioni del vertice che i leader negozieranno domani, i 27 indicano l’obiettivo di “concludere rapidamente i lavori sulle misure di assistenza del Fondo europeo per la pace (Epf)” e sottolineano “l”importanza di tener fede all’impegno assunto insieme ai partner del G7” per garantire entro la fine dell’anno a Kiev il prestito da 50 miliardi di dollari, assicurato attraverso i profitti degli asset russi congelati.
I leader dovrebbero chiedere di “intensificare rapidamente il sostegno militare e di accelerarne la fornitura” a Kiev, in particolare di “sistemi di difesa aerea, munizioni e missili”. Sul sostegno all’Ucraina, l’ostacolo da aggirare è sempre il premier ungherese Viktor Orbán. È lui che da due anni si mette sistematicamente di traverso sui fondi all’Ucraina, è lui che sta bloccando l’erogazione di 6,6 miliardi dall’Epf. “Per quanto riguarda l’Ungheria, credo che stiamo raggiungendo i limiti in termini di possibili leve” da utilizzare per convincere Orbán, ha ammesso un alto funzionario Ue.
Sul Medio Oriente si acuiscono le divisioni. Fonti europee confermano che la speranza è quella di “trovare un accordo” su un testo comune, impresa che dal 7 ottobre dello scorso anno si è rivelata tutt’altro che scontata e che ha evidenziato a più riprese l’incapacità dell’Ue di parlare all’unisono quando si tratta di politica estera. Come riaffermato da Michel in vista del vertice, “i recenti attacchi alle forze di pace delle Nazioni Unite nel Libano meridionale sono irresponsabili e inaccettabili“. Se la condanna unanime degli attacchi israeliani appare “probabile”, così come le richieste di de-escalation e di maggior sostegno umanitario alle popolazioni civili in Libano e a Gaza, le divergenze persistono “sulla misura in cui è legittima l’autodifesa di Israele“. Secondo un alto funzionario, gli Stati membri continuano a beccarsi “sull’ordine degli eventi, su chi ha iniziato il conflitto”.
Le diverse sensibilità dei Paesi membri sulla guerra in Medio Oriente continuano a riflettersi sui termini che scelgono di utilizzare nel documento conclusivo del vertice, sempre molto prudenti – e per questo inevitabilmente deboli – per non creare eccessive divisioni all’interno del blocco. Nel capitolo delle conclusioni dedicato al Medio Oriente, troverà sicuramente spazio la “condanna con la massima fermezza” degli attacchi iraniani contro Israele del primo ottobre e delle “azioni gravemente destabilizzanti dell’Iran attraverso gruppi terroristici e armati – tra cui gli Houthi, Hezbollah e Hamas – che costituiscono una grave minaccia alla stabilità regionale”.
Sui migranti la discussione più “delicata”. È già scontro sull’attuazione del Patto
Paradossalmente, fonti Ue suggeriscono che è sulla migrazione che i leader avranno la discussione più “delicata”. Il netto spostamento a destra del baricentro politico del vecchio continente ha spinto nuovamente il dossier al centro del vertice Ue, da diversi punti di vista. C’è da implementare il Patto per la migrazione e l’asilo adottato faticosamente dai 27 a maggio, ma in molti storcono il naso. L’Ungheria e l’Olanda vogliono richiedere un’esenzione dalla politica comune, e addirittura il primo ministro europeista della Polonia, Donald Tusk, ha annunciato di voler introdurre pesanti restrizioni al diritto d’asilo. C’è da tenere in piedi uno spazio Schengen minato dalle continue sospensioni degli Stati membri – l’ultima in ordine di tempo la Germania – giustificate dalla necessità di maggiori controlli sulle persone migranti. C’è da discutere dell’idea controversa che sta prendendo piede a Bruxelles – rilanciata dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in vista del vertice -, quella degli “hotspot esterni” per gestire le richieste d’asilo al di fuori dell’Ue.
Fonti europee prevedono “diversi punti di vista in sala”, con il rischio che “alcune delegazioni possano bloccare le conclusioni” sulla migrazione. In sostanza, mossi dal comune “desiderio di fare di più per prevenire la migrazione irregolare”, i Paesi membri sarebbero divisi in tre gruppi: chi si concentra sull’attuazione del Patto, chi sui partenariati con i Paesi terzi, chi insiste sulla necessità di esplorare nuove strade in particolare per aumentare i rimpatri. Nella bozza delle conclusioni su cui hanno lavorato fino ad oggi le delegazioni nazionali, il Consiglio europeo “sottolinea l’importanza dell’implementazione del patto“, invita a una “cooperazione rafforzata con i Paesi di origine e di transito” e si impegna a “considerare nuove soluzioni per prevenire e combattere la migrazione irregolare, in linea con la legge internazionale”.
Secondo un alto funzionario Ue, il problema sarà soprattutto concordare i termini giusti sull’attuazione del patto per la migrazione e l’asilo, perché Germania, Paesi Bassi e “alcuni dei nordici” vorrebbero che venisse evidenziata la necessità di dare la precedenza all’attuazione delle regole sui movimenti secondari, delle componenti del Patto “che gravano sui Paesi di primo ingresso”. Si torna sempre lì. Mentre gli stessi nordici, in primis Danimarca e Paesi Bassi, guardano con interesse al “modello Albania“, lanciato da Giorgia Meloni e sponsorizzato da von der Leyen. Domani mattina il governo italiano si è fatto promotore di una riunione di un gruppo di Paesi, tra quelli che hanno sottoscritto la lettera alla commissaria Ue per gli Affari interni, Ylva Johansson, sulle cosiddette “soluzioni innovative” lo scorso 15 maggio.
Un gruppo di paesi “like-minded”, li ha definiti la premier italiana al suo arrivo a Bruxelles per il summit con i Paesi del Golfo. “Sarà molto partecipata, ci sono molti Paesi che guardano le politiche che l’Italia ha portato avanti in questi anni sulla migrazione”, ha rivendicato Meloni. Gli ostacoli sono due, al netto dei rischi per i diritti umani delle persone migranti – che non sembrano essere al centro del discorso -. Come assicurare la compatibilità tra l’esternalizzazione delle procedure d’asilo e il diritto internazionale, e soprattutto come convincere Paesi terzi a fungere da hub esterni. “Domani mattina si spera di avere un breve coordinamento per poi parlarne al vertice”, ha anticipato una fonte.