Dall’inviato a Strasburgo – Doveva essere uno scontro feroce e così è stato. Viktor Orbán sarà uscito dall’Eurocamera con il mal di testa, colpito a ripetizione dalle accuse incrociate di tutti i gruppi politici, a eccezione dell’estrema destra. La prima ad affondare il colpo, trasformando immediatamente il dibattito sulle priorità della presidenza ungherese del Consiglio dell’Ue in un regolamento di conti tra le forze europeiste e quelle sovraniste, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Che ha accusato Orbán di colpevolizzare l’Ucraina per l’invasione della Russia, incalzandolo con rabbia: “Dareste la colpa anche agli ungheresi per l’invasione dell’Unione sovietica nel 1956?”.
E dire che Orbán, nel suo intervento introduttivo, aveva sapientemente rinunciato alla polemica, assicurando “l’atteggiamento costruttivo” di Budapest nei confronti del Parlamento in questi tre mesi restanti di presidenza, su tutti i 41 dossier sui quali il Consiglio dell’Ue e l’Eurocamera devono confrontarsi nei triloghi istituzionali. “L’Unione europea deve cambiare e la presidenza ungherese sarà la voce del cambiamento“, ha annunciato il leader sovranista, concludendo il suo discorso dichiarando che “gli ungheresi continuano a cercare la propria casa nell’Unione europea“. Ma l’inquilina dell’esecutivo Ue lo aspettava al varco.
Von der Leyen ha attaccato subito sull’Ucraina: “C’è ancora chi dà la colpa alla voglia di libertà del popolo ucraino e non alla sete di potere di Putin. Non c’è alcuna lingua europea in cui pace è sinonimo di arrendersi e sovranità è sinonimo di occupazione”. Assestato il primo colpo, la leader Ue è passata al capitolo migrazione, su cui Budapest ha richiesto nei giorni scorsi un’esenzione alla politica comune. “Tutti hanno compreso che la migrazione è una sfida europea che richiede una risposta europea. Ora il Patto (sulla migrazione e l’asilo, ndr) va applicato”, ha messo bene in chiaro.
Guardando dritto negli occhi il capo di governo magiaro, l’ha sfidato nuovamente, ricordando che lo scorso anno Budapest ha scarcerato e espulso da proprio Paese migliaia di trafficanti: “Questo non significa lottare contro l’immigrazione illegale, ma gettare i problemi nei Paesi vicini“. Infine, von der Leyen ha puntato il dito contro la semplificazione dei visti per i cittadini russi voluta da Orbán e la presenza di forze di polizia cinesi sul territorio ungherese. Una “porta sul retro per l’interferenza straniera” nell’Unione europea.
Come a voler rifiutare l’autorità del primo ministro, von der Leyen si è allora appellata ai “dieci milioni di ungheresi che possono plasmare insieme a noi il futuro”. Orbán ha definito “infelice” la scelta di von der Leyen di spostare immediatamente il focus del dibattito sul governo ungherese, e ha rigettato come “un’umiliazione” qualsiasi analogia tra l’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956 e il conflitto in corso in Ucraina. E sul supporto incondizionato a Kiev, il premier ha contrattaccato: “Sul fronte stiamo perdendo e voi vi comportate come se non fosse così”.
Solo i sovranisti difendono Orbán. Weber: “Nessuno la vuole incontrare, Ungheria isolata”
Dopo lo scontro tra von der Leyen e Orbán, sono partiti all’attacco i capigruppo delle principali famiglie politiche europee. A cominciare da Manfred Weber, leader di quel Partito Popolare europeo di cui il partito di Orbán ha fatto parte fino al 2021. Weber ha affermato che la visita estiva di Orbán a Mosca “non è mai stata una missione di pace, ma uno show di propaganda tra autocrati“. L’ambiguità di Budapest sul Cremlino ha una chiara conseguenza, evidenziata da Weber: “Oggi nessuno vuole incontrarla, l’Ungheria è rimasta isolata”.
Le accuse più feroci sono arrivate dai leader progressisti. Per la capogruppo dei Socialdemocratici, Iratxe Garcia Perez, “il falso patriottismo” di Orbán è presto smascherato: il leader populista “critica l’Ue di minacciare la sovranità ungherese, ma beneficia di miliardi di euro che distribuisce al suo gruppetto di oligarchi“. E “giustifica la sua incapacità di gestire il Paese dando la colpa a Bruxelles”.
Da Valerie Hayer, presidente dei liberali di Renew, l’appello a “sospendere il diritto di voto dell’Ungheria al Consiglio dell’Ue”, mentre Terry Reintke, leader dei Verdi, ha ribadito a nome del gruppo che Orbán “non è il benvenuto qui”. Dai banchi della Sinistra europea e dei Verdi si è levato il coro ‘Bella Ciao’ a margine del discorso del presidente ungherese.
Se i due gruppi di estrema destra – i Patrioti per l’Europa, creatura plasmata proprio da Orbán, ed Europa delle Nazioni Sovrane, il gruppo che gira intorno all’Afd tedesca – hanno denunciato il cordone sanitario applicato nei loro confronti dagli altri gruppi e promesso lealtà alla lotta sovranista del presidente ungherese, più ambigua è stata la posizione dei Conservatori e Riformisti europei, il gruppo del Partito europeo guidato da Giorgia Meloni. “Condividiamo diversi obiettivi del suo programma”, ha dichiarato il capogruppo Nicola Procaccini. Il pugno durissimo contro le persone migranti, il ripensamento della transizione verde, la famiglia tradizionale come “cellula primaria di qualunque comunità politica”. Allo stesso tempo, “da amico”, Procaccini ha contestato a Orbán di “non essere consapevole del nemico esterno più pericoloso per l’Ue, l’alleanza tra Cina, Russia, Iran e Corea del Nord, antitesi di qualunque patriota ungherese, europeo, occidentale”.
Nuovo affondo di Orbán su Salis: “Ha picchiato persone pacifiche con spranghe di ferro”
Tra i numerosissimi interventi in Aula, significativo quello dell’eurodeputato ungherese del Ppe Péter Magyar, che dopo vent’anni di militanza nel partito di Orbán ha deciso di fondare il partito del Rispetto e della Libertà, in aperta opposizione con il premier. Ed è arrivato secondo, con il 31 per cento dei voti, alle elezioni europee di giugno 2024. “La smetta di puntare il dito contro Bruxelles, lei governa con poteri illimitati da 14 anni, ha avuto tutte le possibilità del mondo per rendere il nostro Paese migliore”, ha dichiarato il principale leader dell’opposizione. Che ha poi proclamato: “Costruiremo un’Ungheria giusta, europea e vivibile. Non dubitate mai non vi scoraggiate mai. Noi non abbiamo paura e il tempo lavora a nostro vantaggio“.
Ha preso la parola anche Ilaria Salis, eurodeputata dell’Alleanza Verdi e Sinistra, rimasta in detenzione preventiva per 15 mesi a Budapest con l’accusa di aver picchiato alcuni militanti neo-nazisti ungheresi e ora libera proprio grazie all’immunità da parlamentare europea. “L’Ungheria è diventata un regime illiberale e oligarchico, uno Stato etnico, una tirannia moderna“, ha affermato Salis. A cui ha poi risposto il primo ministro ungherese: “Trovo assurde le accuse sullo stato di diritto da chi ha picchiato con spranghe di ferro persone pacifiche sulle strade di Budapest“. Carlo Fidanza, capodelegazione di Fratelli d’Italia, ha invece affermato correttamente che Salis è “imputata in Ungheria per gravissimi episodi di violenza”, poiché la connazionale italiana non ha ancora mai ricevuto una sentenza di alcun tipo.
Il sipario sullo spettacolo poco edificante di attacchi ad personam tra Orbán e gli eurodeputati e tra gli eurodeputati tra loro l’ha chiuso il primo ministro ungherese, secondo cui “le conclusioni di questo dibattito sono che è chiaro che l’Europa va protetta da voi“. Da quegli eurodeputati che “leggono relazioni finanziate da Soros”. Orbán ha poi lasciato l’Aula tra gli applausi dell’estrema destra e i fischi e gli ululati del resto dell’Aula.