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    Home » Politica » Fortezza Europa: la linea Meloni sul rimpatrio delle persone migranti fa scuola in Ue

    Fortezza Europa: la linea Meloni sul rimpatrio delle persone migranti fa scuola in Ue

    Una quindicina di Stati membri potrebbe accodarsi alla proposta di Orbán, basata sul "modello Albania" introdotto dal governo italiano, di creare hotspot esterni per processare le domande d’asilo, rafforzando parallelamente i partenariati con i Paesi terzi

    Francesco Bortoletto</a> <a class="social twitter" href="https://twitter.com/bortoletto_f" target="_blank">bortoletto_f</a> di Francesco Bortoletto bortoletto_f
    9 Ottobre 2024
    in Politica
    Meloni migranti

    La presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni (foto: Filippo Monteforte via Afp)

    Bruxelles – Non basta più nemmeno il nuovo Patto sulla Migrazione e l’Asilo – ancora da implementare – che ha consacrato il focus sulla “dimensione esterna” della migrazione, gli Stati membri dell’Ue spingono già verso una politica migratoria sempre più rigida. Mentre Schengen traballa, le cancellerie vorrebbero un ulteriore giro di vite sui rimpatri degli irregolari, per rimuovere fisicamente gli ospiti indesiderati. Così la “nuova Europa” che Ursula von der Leyen si appresta a guidare per altri cinque anni lascia per strada il rispetto dei diritti umani e somiglia sempre più ad una fortezza, i cui muri potrebbero presto essere costruiti al di fuori delle sue stesse frontiere.

    Quasi tutte le ultime elezioni tenutesi nei Ventisette – da quelle europee a quelle austriache, passando per le statali tedesche – hanno spostato il baricentro politico europeo decisamente verso destra, determinando l’ingresso delle formazioni di estrema destra nell’area di governo in molti Paesi (o perlomeno il loro avvicinamento al potere). A conferma di questo trend, la nuova Commissione von der Leyen avrà un record di 15 membri appartenenti ai Popolari (Ppe) e, per la prima volta, un vicepresidente esecutivo dei Conservatori (Ecr), l’italiano Raffaele Fitto.

    Nei prossimi anni uno degli sbilanciamenti più vistosi si avrà dunque nella politica migratoria, dove bisogna aspettarsi un inasprimento delle norme comunitarie. La stessa approvazione del Nuovo patto sull’asilo e la migrazione, una delle ultime fatiche della scorsa legislatura, aveva dato un’anticipazione della direzione in cui l’Unione sta ora andando sempre più speditamente. A quanto si apprende, i ministri degli Interni di quindici Stati membri (Austria, Bulgaria, Cechia, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Malta, Paesi Bassi, Polonia e Romania) proporranno al Consiglio Giustizia e Affari interni che si terrà domani (10 ottobre) in Lussemburgo di riaprire la direttiva sui rimpatri del 2008, come del resto avevano già chiesto all’esecutivo comunitario lo scorso maggio. La normativa è considerata da più parti ampiamente insufficiente, e la proposta di modifica (discussa nuovamente in sede di Coreper a settembre) dovrebbe ottenere l’appoggio, tra gli altri, anche delle controparti francese e tedesca.

    Il tema è sempre più attuale. Proprio ieri (8 ottobre) il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha esplicitamente appoggiato la creazione di “hotspot esterni all’Ue” dove trattenere (o meglio detenere) i richiedenti asilo mentre le loro domande vengono processate, sul modello dei famigerati centri di permanenza per i rimpatri (Cpr) istituiti dal governo italiano in Albania. L’Ungheria, che detiene la presidenza di turno dell’Ue, userà le discussioni al Consiglio come base del vertice dei leader europei in calendario per il prossimo 17-18 ottobre. Secondo i dati Eurostat, nel 2023 oltre 484mila cittadini di Paesi terzi hanno ricevuto l’ordine di lasciare il territorio dell’Unione, e di questi è stato rimpatriato poco meno del 19 per cento.

    Del resto, è un segreto di Pulcinella che negli ultimi due anni Giorgia Meloni abbia pesantemente influenzato la linea di Bruxelles sulla migrazione, almeno a giudicare dall’assidua presenza, in compagnia della premier, della presidente della Commissione von der Leyen (vedi ad esempio in Tunisia ed Egitto). E così, un’altra delle idee su cui i ministri dei Ventisette dovrebbero discutere è quella relativa al rafforzamento dei partenariati coi Paesi terzi per affrontare le “cause profonde” della migrazione irregolare. E per stipulare accordi di rimpatrio che consentano di rispedire indietro le persone che i governi europei non vogliono tra i piedi.

    Nel frattempo, Cipro è stata appena condannata dalla Corte europea dei diritti umani (Cedu), con sede a Strasburgo, per il respingimento illegale di un gruppo di migranti siriani verso il Libano, dal quale stavano cercando di raggiungere l’Ue. Per i giudici, il comportamento delle autorità cipriote, che hanno intercettato i profughi in alto mare e si sono rifiutate di considerarli rifugiati (ritenendoli invece migranti economici), è stato inumano e degradante ed è considerabile una violazione del divieto di tortura.

    Mentre aspettano che vengano prese decisioni collettive, intanto, alcuni Stati membri hanno già adottato unilateralmente delle misure per costruire le proprie fortezze nazionali. Il caso più clamoroso degli ultimi mesi – ma solo l’ultimo in ordine di tempo – è quello della Germania, il cui governo di centro-sinistra ha chiuso tutte le sue frontiere terrestri con i Paesi vicini adducendo come motivazione questioni di sicurezza in seguito all’attentato di Solingen. A sentire Berlino, la mossa ha prodotto i risultati sperati, causando un calo delle richieste di asilo.

    Con buona pace del caro vecchio spazio Schengen, che le cancellerie sospendono e riattivano continuamente in base alle necessità del momento. E che sarà un altro dei punti sul tavolo domani in Lussemburgo: mentre Bulgaria e Romania cercano di entrarci pienamente, l’area che teoricamente dovrebbe essere di libera circolazione viene presa a picconate dall’interno.

    Tags: direttiva rimpatrigiorgia meloniimmigrazione irregolarerichiedenti asilospazio Schengenviktor orban

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