Bruxelles – Comincia oggi (7 ottobre) e durerà fino al prossimo giovedì (10 ottobre) la 22esima settimana europea delle Regioni e delle città, l’evento annuale in cui nella capitale dell’Unione il focus riguarda la politica di coesione, tramite cui viene incentivata la convergenza nello sviluppo socio-economico tra i diversi territori dei Ventisette. Ed è già arrivato il monito delle autorità locali alla nuova Commissione: giù le mani dai princìpi cardine della partecipazione, della governance multilivello e della sussidiarietà.
Il motto dell’edizione di quest’anno dell’evento è “Empowering communities”, una formula apparentemente conciliante che nasconde tuttavia un clima di palpabile tensione tra il Comitato delle Regioni (CdR) – l’organo che rappresenta i livelli di governo regionali e locali degli Stati membri – e l’esecutivo comunitario. Il pomo della discordia sono le indiscrezioni comparse sui media internazionali sull’imminente revisione della politica di coesione, che la presidente del Collegio Ursula von der Leyen vorrebbe affidare al nuovo commissario designato per la Coesione e le riforme, Raffaele Fitto. Secondo le informazioni che circolano da settimane (mai confermate o smentite ufficialmente dal Berlaymont), si andrebbe verso una sostanziale centralizzazione della gestione dei fondi comunitari: le risorse finirebbero così nelle mani dei governi nazionali anziché delle autorità regionali e locali, seguendo il modello adottato in questi anni con i Pnrr per la ripresa post-pandemica.
Ma il CdR ha tutta l’intenzione di sfruttare la settimana delle regioni come megafono per far sentire forte e chiaro la propria contrarietà a questa riforma “nazionalizzatrice”: “Cancellare il ruolo e la partecipazione delle Regioni e delle città al futuro della politica di coesione non è accettabile”, ha scandito durante la conferenza stampa inaugurale dell’iniziativa il presidente del Comitato, Vasco Alves Cordeiro, che vuole portare avanti la battaglia degli enti locali durante i prossimi negoziati per il bilancio Ue 2028-2034, in programma per il 2025. Sarebbero due, secondo Cordeiro, i problemi principali se le indiscrezioni giornalistiche venissero confermate: l’esclusione di Regioni e città dalla gestione dei fondi europei e il conseguente venir meno della fiducia tra questi e Bruxelles, il che metterebbe a repentaglio “il futuro stesso del progetto europeo”.
Più conciliante si è mostrata invece la commissaria uscente alla Coesione e alle riforme Elisa Ferreira, che dovrà passare il testimone a Fitto. “La politica di coesione è rimasta salda in questi tempi, continuando a tradurre le priorità politiche della Commissione in azioni concrete sul campo, con un sostegno sostanziale alle transizioni verde e digitale, nonché alla crescita occupazionale”, ha dichiarato dal palco che condivideva con Cordeiro, snocciolando una serie di risultati positivi ottenuti dalla “macchina della convergenza” del Vecchio continente.
E sul futuro di questo importante capitolo di spesa dell’Ue (che prende circa un terzo del budget comunitario) si è detta fiduciosa, ribadendo che va “rafforzato in termini di qualità e di risorse” ma sottolineando anche che “gli investimenti non sono abbastanza” ma “serve una strategia” di lungo termine per fare in modo che tutti gli attori coinvolti nella realizzazione delle politiche comunitarie contribuiscano all’obiettivo generale dell’aumento della coesione territoriale tra le varie regioni. A partire dalle autorità locali, che devono essere coinvolte in tutti i lavori dell’Unione come prescritto dal principio di partecipazione: ad esempio, allo stato attuale, coordinano circa il 50 per cento degli investimenti pubblici e il 30 per cento della spesa pubblica negli Stati membri. Un principio che, secondo Ferreira, rappresenta “il Dna” della politica di coesione secondo un approccio dal basso che mette prima il territorio, e che non dovrà essere perso nel prossimo periodo di bilancio.
Le priorità e gli obiettivi del CdR sono raccolti nella relazione sullo stato delle Regioni e delle città 2024, dove si evidenzia che quello locale e regionale è il livello di governo in cui i cittadini europei ripongono la maggiore fiducia (l’indicatore è al 60 per cento, secondo la pubblicazione). Il documento ricorda che le Regioni e le città sono responsabili per la realizzazione di circa il 70 per cento delle politiche europee, soprattutto per quanto riguarda la transizione ecologica: “Ogni dieci euro spesi per politiche ambientali, otto sono spesi a livello locale”, si legge nel rapporto, dal quale arriva la richiesta a Bruxelles di fornire un “sostegno finanziario mirato” per implementare il Green deal dell’ordine di 200 miliardi di euro ogni anno per le misure di adattamento e mitigazione del cambiamento climatico.
Al centro del report anche la competitività nel mercato unico, la crescita occupazionale e l’allargamento che, nelle parole di Cordeiro, “non è solo un dovere morale ma anche una necessità geopolitica e un investimento strategico sul nostro futuro”: tutte sfide che devono partire dalle realtà territoriali, secondo il CdR, se vogliono essere affrontate con successo. Ma l’allargamento va preparato con attenzione, sostiene il rapporto, predisponendo adeguati “meccanismi di transizione” per evitare che tanto la politica di coesione quanto altri importanti capitoli del budget comunitario, come la Politica agricola comune (Pac), vengano travolti dall’ingresso di “uno o più grandi Paesi” nel club europeo (vedi l’Ucraina).
Come? Garantendo “risorse proprie stabili e sufficienti per tutti i livelli di governo” anche nel prossimo periodo bilancio settennale, nei cui imminenti negoziati il Comitato vuole giocare un ruolo chiave. La parola d’ordine è mantenere il modello di governance multilivello della politica di coesione, che poi significa tenere in piedi quella gestione condivisa dei fondi che verrebbe messa in discussione dalla paventata riforma di cui dovrebbe occuparsi Fitto nel prossimo ciclo istituzionale. Contro, cioè, il “modello Recovery” che è invece imperniato sulla gestione diretta dei fondi comunitari da parte degli Stati e sul nesso riforme-investimenti. E che, stando all’accusa del CdR, finirebbe con lo snaturare l’essenza stessa della politica di coesione, vale a dire quel decentramento che nel gergo della bolla Ue viene chiamato “sussidiarietà”.