Bruxelles – Per concedere lo ‘status di rifugiato’ alle donne afghane, sarà sufficiente considerare il loro sesso e la nazionalità, dice la Corte di giustizia dell’Unione Europea (Cgue). La sentenza di oggi esclude la necessità per gli Stati membri di considerare altri elementi, dal momento che, in Afghanistan, le misure discriminatorie nei confronti delle donne sono sufficientemente gravi da confermare il rischio di “subire persecuzioni” con il ritorno nel paese di origine.
La Cgue si è espressa dopo un rinvio pregiudiziale della Corte suprema amministrativa austriaca, alla quale era stato sottoposto il caso da due donne afghane dopo il rifiuto alla concessione di status di rifugiato da parte delle autorità austriache. Dal punto di vista giuridico, tramite il rinvio pregiudiziale, le corti nazionali richiedono un parere alla Cgue, al quale sono tenute a conformarsi nel momento in cui aggiudicano la questione. In sostanza, sta all’Ue decidere.
La base legale per la concessione dello status di rifugiato nell’Ue è la direttiva 2011/95/Ue (che fa riferimento alla Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati). Si parla di ‘rifugiato‘ intendendo un cittadino di paesi terzi che rischi di essere perseguitato per qualsiasi elemento discriminante, compresa l'”appartenenza a un determinato gruppo sociale“, come nel caso delle donne afghane. In aggiunta alle prove fondate per dimostrare i rischi del ritorno al paese di origine, la direttiva aggiunge che aver ricevuto già persecuzioni o danni gravi costituisce un motivo valido per considerare valido il timore del ritorno al paese di origine.
Background
Il ritorno al potere del regime talebano nel 2021 ha implicato gravi violazioni dei diritti delle donne. Le misure discriminatorie imposte vanno dalla privazione di qualsiasi protezione giuridica contro le violenze di genere e domestiche, ma anche contro il matrimonio forzato, il divieto di far sentire pubblicamente la propria voce, la limitazione dell’accesso all’istruzione, al lavoro e alla politica, l’impossibilità di accedere all’assistenza sanitaria e l’assenza di libertà di circolazione e non in ultimo, l’obbligo di coprirsi completamente corpo e volto.
L’Unione Europea aveva già sanzionato, in materia di diritti umani, due ministri talebani ad interim per l’istruzione superiore e per la propagazione della virtù e la prevenzione del vizio, fautori dei divieti relativi all’istruzione e alle pratiche di segregazione di genere negli spazi pubblici in Afghanistan. Allo stesso modo, ha suscitato grande indignazione il decreto di agosto relativo al divieto di esprimersi e mostrarsi pubblicamente per le donne. In una nota, l’Alto rappresentante dell’Ue per la politica estera, Joseph Borrell, aveva commentato dicendo: “La recente decisione rappresenta un altro duro colpo ai diritti delle donne e delle ragazze afghane: non possiamo tollerarlo”.
La sentenza impattante della Cgue
Questi elementi sono indicatori di un contesto sociale in cui la figura della donna e i suoi diritti sono annullati. La sentenza di oggi della Cgue non lascia dubbi: le misure ai danni delle donne in Afghanistan sono vere e proprie violazioni di diritti fondamentali.
“Tali misure, considerate nel loro insieme, colpiscono le donne in un modo tale che raggiungono il livello di gravità richiesto per costituire atti di persecuzione”, dice la Corte, e complessivamente “portano a negare, in modo flagrante e con accanimento, alle donne afghane, per il solo loro sesso, i diritti fondamentali connessi alla dignità umana“. Uno degli esempi è il matrimonio forzato, che è “assimilabile a una forma di schiavitù”, o anche il laissez-faire alla violenza domestica e alle violenze sessuale, che sono forme di trattamento inumano e degradante.
Nell’analisi della concessione dello status di rifugiato per il diritto internazionale, la Cgue ha constatato la condizione rischiosa per l’incolumità delle donne afghane in caso di ritorno nel regime talebano, considerando anche le relazioni elaborate dall’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo (Auea) e dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr).
La Cgue ha deciso, per le richiedenti protezione afghane, la non necessità di dimostrare “che quest’ultima rischi effettivamente e specificamente di essere oggetto di atti di persecuzione in caso di ritorno nel suo paese di origine, qualora siano dimostrati gli elementi relativi alla sua situazione individuale, quali la nazionalità o il sesso“. Le corti nazionali, dopo questa sentenza della Corte, dovranno conformarsi al parere europeo, semplificando concretamente le possibilità di aiutare le donne afghane.