Bruxelles – Suona come uno schiaffo in faccia ai detrattori degli alimenti a base vegetale: la Corte di giustizia dell’Unione europea (Cgue) ha stabilito oggi (4 ottobre) che questi prodotti possono essere venduti anche utilizzando nomi tipicamente associati alla carne – purché, naturalmente, la loro composizione sia chiaramente indicata nell’etichetta.
Secondo i giudici della Corte, che ha sede a Lussemburgo, gli Stati membri non hanno la facoltà di impedire alle aziende produttrici di commercializzare i propri alimenti vegetariani con termini e formule tradizionalmente associati al mondo della macelleria e della salumeria. Insomma, continueremo a trovare sugli scaffali dei supermercati hamburger di soia, salsicce vegetali, bistecche, polpette e scaloppine plant-based. Tale regola può venire eccezionalmente derogata, spiega la Cgue, solo laddove esistano già degli specifici criteri legali per attribuire un determinato nome ad un prodotto a base di proteine vegetali. In tutti gli altri casi, invece, l’etichettatura “veg” è perfettamente a norma e rispetta le disposizioni comunitarie in materia (contenute nel Regolamento Ue 1169/2011).
Il contenzioso su cui si è espressa la Corte nasce in Francia, dove una legge aveva vietato di impiegare termini come “hamburger vegetariani” o “salsicce vegane” per la commercializzazione di prodotti a base vegetale. Un gruppo di operatori del settore (l’Association Protéines France, l’Union vegetarienne européenne, l’Association végétérienne de France e la società Beyond Meat Inc.) aveva poi contestato la normativa in questione, finché nell’agosto 2023 il Consiglio di Stato transalpino ha deferito il caso alla Cgue. La quale ha concluso, con il verdetto odierno, che se i Paesi membri non introducono nomi legali per specifiche categorie di alimenti non possono impedire ai produttori di cibi a base di proteine vegetali di utilizzare nomi descrittivi mutuati dall’universo carnivoro, allo scopo di renderli più riconoscibili ai potenziali acquirenti.
Naturalmente, ha specificato la Corte, i governi dei Ventisette possono mettere in campo normative che mirino a proteggere i consumatori dal marketing fuorviante: ma se l’etichetta dei prodotti alimentari riporta chiaramente la loro composizione, non c’è motivo di impedire l’utilizzo di determinate espressioni solo perché il senso comune le associa più immediatamente ai prodotti a base di carne anziché alle loro alternative vegetali.
La sentenza avrà con ogni probabilità implicazioni considerevoli in tutto il mercato unico, dato che altri Paesi, come l’Italia e il Belgio, hanno introdotto o stanno considerando di introdurre leggi simili a quella impugnata Oltralpe. Nel Belpaese, ad esempio, potrebbe venir meno la base legale di alcune disposizioni recentemente introdotte dal governo Meloni, come ad esempio l’articolo 3 della cosiddetta “legge sulla carne coltivata” (legge 172/2023, entrata in vigore lo scorso dicembre), che vieta di utilizzare espressioni mutuate dal mondo della macelleria, della salumeria o della pescheria per “prodotti trasformati contenenti esclusivamente proteine vegetali”. Nel nome dell’armonizzazione delle pratiche commerciali all’interno dell’Unione, a questo punto, appare lecito aspettarsi che le aziende e le associazioni del settore di tutti gli Stati membri considerino d’ora in poi il verdetto della Cgue come un precedente fondamentale che gioca in loro favore, per “salvare” le etichette della carne vegetale (dopo che, quattro anni fa, l’Eurocamera aveva già respinto i tentativi di vietare queste denominazioni nel quadro della riforma della Politica agricola comune dell’Unione).