Bruxelles – Il processo di approvazione dei commissari designati da parte dell’Europarlamento è finalmente cominciato stamattina (3 ottobre), con l’esame da parte della commissione giuridica (Juri) dell’emiciclo delle autodichiarazioni degli interessi finanziari dei 26 candidati a comporre il nuovo esecutivo comunitario. Ma non è andata benissimo: solo tre, tra tutte, sono state “promosse” dai deputati. A sentire i rappresentanti della Sinistra (The Left), le autodichiarazioni sarebbero scarne e lacunose, e l’intero processo sarebbe tutt’altro che neutrale o trasparente.
L’iter che porterà alla definitiva promozione (o bocciatura) dei membri del nuovo Collegio si è aperto con il deposito delle autodichiarazioni degli interessi finanziari dei commissari designati alla commissione Giustizia dell’Aula. La quale dovrà ora analizzare scrupolosamente le informazioni a sua disposizione e valutare eventuali conflitti d’interesse, che potrebbero impedire ai candidati di passare alle fasi successive della selezione, cioè le audizioni di conferma (fissate giusto ieri per la settimana del 4-12 novembre).
Come primo giorno non è andata esattamente liscia. Secondo fonti parlamentari, su 26 autodichiarazioni esaminate dagli eurodeputati di Juri (che saranno rese pubbliche solo alla fine dell’esame in questione), solo tre sono “passate” al primo colpo (quelle dell’olandese Wopke Hoekstra, del polacco Piotr Serafin e dell’ungherese Olivér Várhelyi) mentre dieci sono state rispedite ai mittenti, i quali dovranno produrre dei documenti integrativi entro il prossimo 10 ottobre. Per quella data, la Conferenza dei presidenti (CoP, cioè l’organo che riunisce la presidente e i capigruppo delle forze politiche dell’emiciclo) avrà messo nero su bianco una serie di domande scritte, cui i candidati commissari dovranno rispondere entro il 22 ottobre. Per le restanti 13 autodichiarazioni, sono state richieste informazioni aggiuntive e una nuova compilazione delle carte in questione.
Stando a quanto riferito dalla co-capogruppo della Sinistra (The Left), la francese Manon Aubry, tra i candidati “problematici” dal punto di vista di potenziali conflitti d’interesse ci sarebbero l’italiano Raffaele Fitto, la portoghese Maria Luís Albuquerque e la slovena Marta Kos. Sul commissario designato da Roma i dubbi sarebbero relativi alle partecipazioni immobiliari e ai “procedimenti giudiziari non tutti chiusi”, la portoghese (che si occuperà di Servizi finanziari) ha lavorato per Morgan Stanley in passato e la slovena (cui dovrebbe andare il portafoglio per l’Allargamento) per Kreab, una società di consulenza che gestisce clienti del calibro di Amazon e Google. Anche su Hoekstra, proposto per i dossier su Clima e tassazione, permarrebbero dei dubbi relativi al suo passato in Shell e al suo coinvolgimento nell’inchiesta sui Panama papers.
“Pensate che siano i degni rappresentanti del popolo europeo, o di alcune lobby e aziende?”, ha chiesto sarcasticamente la leader eletta con La France insoumise parlando ai giornalisti nella sede di Bruxelles dell’Europarlamento. Secondo Aubry, “i problemi maggiori non vengono affrontati dalla procedura” che viene seguita in Juri, dove “si guarda solo ai beni finanziari dichiarati, ma non si guarda a cosa hanno fatto e per chi hanno lavorato in passato” i candidati commissari.
La sinistra radicale ha sparato a zero sull’intero processo di esame dei conflitti d’interesse condotto in Juri, che “è profondamente imperfetto e politicizzato e non riesce a tenere conto delle complessità dei potenziali conflitti di interesse”, “una farsa totale” con delle tempistiche insufficienti per uno scrutinio adeguato, che peraltro avviene “dietro a porte chiuse” anziché essere pubblico.
La revisione “è oggi limitata solo alle parti III e IV della dichiarazione di interessi fornita dai commissari, a differenza del processo in voga nel 2019, che copriva l’intera dichiarazione”, si legge in un comunicato del gruppo. Le due sezioni in questione riguardano gli interessi finanziari personali e quelli di coniugi, partner e figli minorenni: dunque, continua la nota, non possono essere esaminate altre situazioni potenzialmente problematiche come investimenti in aziende o ruoli di consulenza. Insomma, la commissione giuridica è “priva degli strumenti necessari per condurre una revisione efficace, affidandosi solo alle autodichiarazioni dei commissari designati, senza la possibilità di verificare l’accuratezza o la completezza di queste informazioni”.
Il che, come sottolineato dall’eurodeputato pentastellato Mario Furore (membro di Juri), crea un impedimento di fondo perché “con una dichiarazione finanziaria molto scarsa o vuota” la commissione giuridica fa fatica a “chiedere poi quali siano gli eventuali conflitti di interesse”. “Molti commissari, per esempio, hanno lavorato in multinazionali e in grosse aziende e non hanno neanche dichiarato i clienti con i quali hanno collaborato in questi anni e che potrebbero entrare in conflitto con i propri portafogli, qualora queste persone dovessero diventare commissari”, ha dichiarato, mentre altri candidati “hanno aziende di famiglia che potrebbero entrare od operare addirittura con i portafogli stessi”. “La trasparenza tanto decantata da Ursula von der Leyen non c’è stata”, ha concluso il deputato M5s.
Per ribilanciare il processo di valutazione del Parlamento, la Sinistra ha chiesto delle dichiarazioni finanziarie più complete e dettagliate che siano pubbliche e accessibili (soprattutto ai media e alle organizzazioni non governative), un periodo di “pausa” più lungo tra la fine di incarichi nel settore privato e l’inizio di ruoli pubblici nell’esecutivo comunitario (per evitare le cosiddette “porte girevoli”) e l’introduzione di un vero e proprio organo Ue di controllo etico, che supervisioni le situazioni di conflitto d’interessi per i funzionari comunitari.