Bruxelles – Per la prima volta dalla fine della Seconda guerra mondiale, l’estrema destra è arrivata prima alle elezioni federali in Austria. Il Partito della libertà guidato da Herbert Kickl (Fpö) ha conquistato oltre il 29 per cento dei consensi, stando ai risultati preliminari delle urne, staccando di circa tre punti il Partito popolare (Övp) che guida l’esecutivo uscente. Comincia ora la complessa aritmetica delle coalizioni per dare al Paese un governo.
Come ampiamente previsto, Vienna è andata decisamente a destra con le elezioni per il Nationalrat, la camera bassa del legislativo austriaco, tenutesi domenica (29 settembre). Gli exit poll parlano di un successo strepitoso per la formazione post-nazista, anti-immigrazione e pro-Russia di Kickl, il Freiheitliche partei Österreichs (Fpö)fondato a metà degli anni Cinquanta da ex membri delle SS tedesche: i dati disponibili al momento le attribuiscono il 29,2 per cento dei voti e 58 seggi in Aula, cioè poco meno di un terzo sul totale di 183 (e 26 in più rispetto alla legislatura uscente).
Lo scorso giugno, l’Fpö era arrivato primo anche alle europee, portando in dote a Strasburgo la pattuglia più folta della delegazione austriaca: 6 deputati che siedono nei banchi dei Patrioti per l’Europa (PfE), uno dei gruppi in cui la destra radicale è divisa all’Eurocamera e che comprende anche la Lega di Matteo Salvini, il Rassemblement national di Marine Le Pen e Jordan Bardella, il Fidesz di Viktor Orbán e il Pvv di Geert Wilders.
Un successo che viene da lontano
La cavalcata dell’ultradestra austriaca non è un fulmine a ciel sereno ma viene da lontano: da quando l’ex leader Jörg Haider ha impresso al partito una decisa svolta a destra, l’Fpö è già stata al governo del Paese due volte, nel 2000 e nel 2017, sempre in coalizione con l’Övp. Alle elezioni del 1999 aveva preso il 26,9 per cento, che fino a ieri era stato il suo record storico di consensi, mentre sette anni fa era scesa al 16,2 per cento. Dopo il cosiddetto Ibiza gate, lo scandalo che ha portato al collasso dell’esecutivo guidato dal cancelliere Sebastian Kurz e alle elezioni anticipate del 2019, Kickl (che all’epoca era ministro degli Interni) ha saputo intercettare un malcontento diffuso nella popolazione, battendo soprattutto su temi come l’esplosione del costo della vita, le conseguenze della guerra in Ucraina (ricordiamo che oltre l’80 per cento del gas importato dall’estero da Vienna arriva dalla Russia), la pandemia da Covid-19 e l’immigrazione.
Il programma elettorale dell’Fpö si chiama “Fortezza Austria” e auspical’introduzione di schemi di remigrazione (simili a quelli dell’AfD tedesca) per “gli stranieri non invitati” allo scopo di creare una nazione più “omogenea”, oltre naturalmente a controlli molto più severi ai confini e ad un giro di vite sulle leggi in materia di asilo. Kickl e i suoi chiedono inoltre la fine delle sanzioni contro Mosca, la sospensione degli aiuti militari a Kiev e la restituzione di un numero maggiore di competenze da Bruxelles alle cancellerie nazionali.
Parlando a caldo dopo i primi exit poll, il capo dell’Fpö ha dichiarato che “siamo pronti a guidare un governo, siamo pronti a portare avanti questo cambiamento in Austria fianco a fianco con il popolo”. Kickl ha reclamato per sé il ruolo di Volkskanzler, un’espressione – che letteralmente significa “il cancelliere del popolo” – usata da Adolf Hitler, un’uscita che evidenzia il legame mai realmente reciso con le origini post-naziste del partito. Lo scorso venerdì, in occasione del funerale di un politico di lungo corso dell’Fpö a Vienna, sono stati intonati cori delle SS.
Ma a definire “nazisti” i colleghi dell’Fpö non ci sta, ad esempio, lo Stato maggiore del Carroccio, che per bocca del capodelegazione all’Europarlamento Paolo Borchia definisce “curiose ma lunari le analisi post-voto che arrivano dai partiti che da anni mal governano in Europa”. “Quando le forze di establishment vengono sonoramente bocciate alle urne, iniziano a vedere fascisti e nazisti ovunque”, ha aggiunto, lamentando “uno strano concetto di democrazia”. Borchia ha poi bollato come “politicamente inaccettabile, a poche ore dalla commemorazione dell’eccidio di Marzabotto, parlare di fascismo e nazismo, utilizzando strumentalmente orrori che appartengono al passato per attaccare gli avversari”.
Mario Furore, europarlamentare del Movimento 5 Stelle, ricorda che “in più occasioni gli esponenti di Fpö hanno definito l’Alto Adige parte integrante dell’Austria, indipendentemente dall’attuale confine”, e dunque domanda “quale sarà il prossimo passo se andranno al governo? L’annessione? Matteo Salvini si ricordi che lui ha giurato sulla Costituzione italiana”.
Il rebus delle alleanze
Il Partito popolare (Österreichische Volkspartei, Övp) cui appartiene l’attuale cancelliere, Karl Nehammer, è invece il grande sconfitto della notte elettorale. Si è fermato al 26,5 per cento, un po’ meglio rispetto ai sondaggi che lo davano al 22 per cento ma ben 11 punti in meno rispetto alle ultime elezioni del 2019 (e 19 eletti in meno, passando da 71 a 52). I socialdemocratici dell’Spö (Sozialdemokratische Partei Österreichs) sono rimasti la terza forza dell’emiciclo e hanno guadagnato un seggio (arrivando a quota 41), ma hanno ottenuto il peggior risultato di sempre nelle urne con appena il 21 per cento. I liberali di Neos (Das Neue Österreich und Liberales Forum) sono saliti dall’8,1 al 9 per cento conquistando due seggi (da 15 a 17), mentre i Verdi (Die Grünen) – che erano al governo con l’Övp – sono crollati dal 13,9 all’8 per cento, perdendo 11 eletti (da 26 a 15). Si apre a questo punto la delicata partita che dovrà portare alla formazione del prossimo esecutivo.
Sicuramente, come accade dal 1987, il nuovo governo ruoterà intorno all’Övp. Un’opzione per i conservatori è quella di una coalizione con l’estrema destra, ma tenendo per sé la cancelleria, come già fatto nel 2000 e nel 2017. Mettendo insieme i seggi di Övp e Fpö si arriva a 110, confortevolmente sopra la soglia della maggioranza assoluta fissata a 92, e su alcuni dossier i due partiti non sono eccessivamente distanti, a cominciare dalla migrazione. Ma lo stesso Nehammer, che è succeduto a Kurz alla guida dell’Övp, ha rifiutato di partecipare ad un governo che veda Kickl come cancelliere (senza escludere però, di fatto, di potersi accordare col partito di quest’ultimo). A questo punto, come compromesso per entrare in maggioranza, l’Fpö potrebbe decidere di non esprimere il capo dell’esecutivo, piazzando comunque i suoi nei ministeri chiave del prossimo gabinetto.
Un’altra opzione per l’Övp potrebbe essere quella di cercare un’alleanza più larga per escludere l’estrema destra. Ma in questo caso si parlerebbe di una coalizione a tre (Popolari, Socialdemocratici più una terza gamba, verosimilmente i liberali di Neos), che sarebbe estremamente instabile e potrebbe portare ad una paralisi dell’azione di governo, come esemplificato dalle infinite difficoltà della “coalizione semaforo” guidata da Olaf Scholz a Berlino. Del resto, è improbabile che il presidente della Repubblica, l’ecologista Alexander Van der Bellen, nomini il leader dell’ultradestra come cancelliere federale prima di aver provato qualunque altra strada. A Vienna si attendono dunque giorni, o addirittura settimane, di frenetici negoziati politici tra le forze parlamentari per trovare la quadra e fornire al più presto un governo al Paese.
Se dovesse decollare l’alleanza tra le destre, l’Austria si unirebbe ad un blocco di Stati membri dell’Ue guidati da governi euroscettici – e vicini al Cremlino – che potrebbero creare non pochi grattacapo a Bruxelles. Gli altri membri del club sono l’Ungheria di Viktor Orbán e la Slovacchia di Robert Fico, mentre l’anno prossimo potrebbe unirsi anche la Cechia se con le prossime elezioni tornerà al potere Andrej Babiš.