Bruxelles – Dalla Corte di giustizia dell’Ue (Cgue) è arrivato stamattina un nuovo tassello nella complicata vicenda giudiziaria che da anni ruota intorno a Carles Puigdemont e Antoni Comín, due indipendentisti catalani eletti al Parlamento europeo nella scorsa legislatura. I giudici della Corte, che ha sede a Lussemburgo, hanno confermato giovedì (26 settembre) la sentenza emessa dal Tribunale Ue due anni fa, che rigettava il ricorso presentato dai politici della generalitat autonoma: sostanzialmente, l’atto con cui l’allora presidente dell’Eurocamera Antonio Tajani si era rifiutato di proclamarli come eurodeputati era valido e non impugnabile di fronte alla giustizia europea. Ma nel frattempo un’altra sentenza Cgue, successiva ai fatti in questione, potrebbe aprire alla conferma di Comín a Strasburgo nella decima legislatura (inaugurata lo scorso luglio), che è attualmente congelata per gli stessi motivi.
Andiamo con ordine. Il tassello aggiunto oggi (26 settembre) dalla Cgue va ad aggiungersi ad un complicato puzzle che va ricomposto dall’inizio, cioè a partire dalle elezioni europee di cinque anni fa. Il 26 maggio 2019 i cittadini spagnoli avevano eletto, tra i propri rappresentanti al Parlamento di Strasburgo (54 poi aumentati a 59 dopo la Brexit), i due indipendentisti catalani Carles Puigdemont e Antoni Comín. Tre giorni dopo, il 29 maggio, Antonio Tajani (allora il presidente uscente dell’Aula) aveva emesso un’istruzione interna in cui raccomandava di non procedere all’accreditamento di nessuno degli eurodeputati spagnoli fino a che non fosse arrivata la conferma ufficiale della loro elezione da parte della commissione elettorale centrale del Paese (Junta electoral central).
Il 13 giugno, la Junta aveva redatto una prima lista ufficiale degli eletti, tra cui figuravano sia Puigdemont sia Comín, i quali il giorno successivo hanno esortato il presidente Tajani a prendere atto della loro elezione e di procedere con l’accreditamento. Questa mossa avrebbe loro permesso, infatti, di ottenere le immunità connesse allo status di eurodeputati, mettendoli di conseguenza al riparo dalla giustizia spagnola che li voleva arrestare per via del controverso referendum sull’indipendenza della Catalogna celebrato nell’ottobre 2017, quando Puigdemont era presidente e Comín membro del governo della generalitat autonoma.
Tuttavia, nella lista degli eletti comunicata ufficialmente il 17 giugno dalla Junta central agli uffici dell’Europarlamento mancavano i nomi di entrambi gli indipendentisti catalani. La motivazione addotta dalle autorità spagnole era che Puigdemont e Comín non si erano presentati a Madrid per prestare giuramento sulla Costituzione, un atto indispensabile per ottenere l’incarico da eurodeputato secondo la legge elettorale spagnola. Puigdemont e Comín avevano chiesto di poter giurare dal Belgio, dove si trovavano in autoesilio, ma la domanda era stata respinta.
Tajani ha così comunicato ai due interessati, in una lettera datata 27 giugno, di non poterli considerare come futuri eurodeputati in quanto, appunto, i loro nomi non comparivano nell’elenco degli eletti spagnoli. Il giorno successivo, Puigdemont e Comín hanno impugnato la lettera dell’allora presidente di fronte al Tribunale dell’Ue, chiedendone l’annullamento e rivendicando la regolarità della propria elezione a Strasburgo. A luglio 2022, il Tribunale ha però rigettato il ricorso degli indipendentisti, sostenendo che fosse inammissibile in quanto gli atti in questione non erano impugnabili alla luce del diritto comunitario. Nello specifico, spiegavano i giudici, la lettera di Tajani del 27 giugno non produceva effetti legali vincolanti poiché si trattava semplicemente di una presa d’atto della decisione della Junta electoral (quella, sì, ne aveva prodotti di effetti giuridici).
Naturalmente, Puigdemont e Comín hanno contestato queste conclusioni, facendo appello alla Corte (che rappresenta il più alto livello di giudizio in Ue). Ma è andata male, perché con la sentenza odierna i giudici della Cgue hanno difeso la decisione del Tribunale di due anni fa, il quale “ha correttamente dichiarato che il presidente del Parlamento europeo non poteva discostarsi dall’elenco dei deputati eletti che gli era stato ufficialmente notificato dalle autorità spagnole”.
Il presidente dell’Aula, si legge nel comunicato stampa diffuso dalla Corte, “non ha alcuna competenza a controllare l’esattezza di tale elenco, pena violare la ripartizione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri”. “Un tale controllo”, si legge ancora, non spetta a nessuno all’interno dell’Europarlamento bensì “unicamente ai giudici nazionali, se del caso, previo rinvio pregiudiziale alla Corte, o a quest’ultima, investita di un ricorso per inadempimento”. Tajani, insomma, si è comportato nell’unico modo in cui si poteva comportare in quel momento.
In quel momento. La precisazione temporale, a questo punto della storia, è d’obbligo, perché tra la lettera di Tajani del giugno 2019 e la sentenza del Tribunale del luglio 2022 è successa una cosa importante. Nel dicembre 2019 la Corte ha emesso un’altra sentenza riguardante un altro indipendentista catalano eletto alle europee di quell’anno: Oriol Junqueras Vies. Junqueras Vies aveva vinto uno dei 54 seggi spagnoli partecipando alle elezioni dal carcere, dove era stato rinchiuso nel novembre 2017 per il referendum sull’indipendenza.
Ebbene, a dicembre 2019 la Cgue ha stabilito che, in buona sostanza, un candidato al Parlamento europeo diventa effettivamente deputato (e può dunque beneficiare delle immunità) con la proclamazione dei risultati delle urne, e che gli Stati membri non possono addurre regole nazionali come giustificazione per ostacolare tale nomina. In ottemperanza a tale sentenza, dunque, Puigdemont e Comín sono stati accreditati come eurodeputati a dicembre 2019 e proclamati ufficialmente a gennaio 2020 (con effetto dal luglio precedente) dal successore di Tajani alla presidenza dell’emiciclo, David Sassoli.
Ora, la sentenza di oggi dice solamente che la decisione presa all’epoca da Tajani era legittima, in quanto la sentenza sul caso Junqueras Vies non era ancora stata formulata e dunque la giurisprudenza della Corte non aveva ancora fornito quel precedente. Ma, oggi, quel precedente esiste e dunque Comín, che è stato rieletto alle europee di quest’anno e continua a trovarsi nella medesima situazione di cinque anni fa, dovrebbe poter ottenere anche in questa legislatura la proclamazione a eurodeputato, che Madrid continua a ostacolare e che l’attuale presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola, non ha ancora formalizzato.