Bruxelles – Alla fine le polemiche sulla vicepresidenza esecutiva della nuova Commissione a Raffaele Fitto (esplose ieri in occasione della presentazione del Collegio da parte di Ursula von der Leyen) potrebbero essere almeno parzialmente esagerate. Da un punto di vista politico, colgono sicuramente nel segno: il Collegio è pesantemente spostato a destra, ma del resto questo è lo Zeitgeist dell’Europa di oggi. Se si considera l’aspetto pratico, tuttavia, la carica assegnata al candidato italiano potrebbe rivelarsi più un riconoscimento politico (a Giorgia Meloni, non a Fitto) che una vera e propria assegnazione di poteri sostanziali.
Fonti interne al Berlaymont hanno confermato oggi (18 settembre) che alcuni dei dossier più complessi verranno gestiti da più di un commissario contemporaneamente, una pratica in effetti già in uso nel Collegio uscente. Sarà il caso, ad esempio, del Recovery and resilience facility (lo Strumento per la ripresa e la resilienza, altrimenti noto come Recovery fund), di cui il nostro Fitto si occuperà al più alto livello insieme a Valdis Dombrovskis, commissario designato dalla Lettonia (già al terzo mandato, se come probabile verrà promosso dagli eurodeputati in autunno). Ma se al primo è stata affidata, oltre al portafoglio sulla Coesione e le riforme, una delle sei vicepresidenze esecutive, al secondo sono state assegnate “solo” le deleghe all’Economia e alla produttività insieme a quelle all’Implementazione e alla semplificazione.
E tuttavia, ha specificato un alto funzionario della Commissione, Dombrovskis riferirà direttamente alla presidente su questo file. Scavalcando, di fatto, il vicepresidente Fitto. Probabilmente un modo per controbilanciare l’influenza concessa al partito dei Conservatori e riformisti (Ecr) di cui fa parte Fratelli d’Italia – che, ricordiamo, non fa parte della maggioranza che ha sostenuto la rielezione di von der Leyen. “Tieni gli amici vicini e i nemici più vicini”, dice un vecchio proverbio. E non è ancora chiaro se la relazione tra la popolare tedesca e la premier italiana è di amicizia o di rivalità (politica, s’intende). Così, la capa dell’esecutivo Ue potrebbe aver deciso di concedere a Meloni una vicepresidenza esecutiva come una sorta di “contentino” ma svuotandolo di reali poteri, e di imporre su Fitto un doppio livello di sorveglianza: dall’alto, appunto dalla stessa von der Leyen, e dal basso (o meglio di lato, visto che i commissari sono tutti formalmente allo stesso livello) da parte del collega Dombrovskis.
Forse si tratta solo di speculazioni, ma in politica queste sottigliezze sono spesso fondamentali. Certo, resta il fatto che per la prima volta nella storia un ruolo di peso della Commissione è stato affidato ad un esponente della destra radicale – una novità che bisognava probabilmente aspettarsi, dato che si tratta del Collegio più a destra di sempre. Eppure, sembrerebbe che von der Leyen voglia tenere tutto il potere – quello vero – in casa dei Popolari (pure Dombrovskis, guarda caso, fa parte del Ppe).
L’unico caveat è che quando partirà il prossimo bilancio pluriennale (per il periodo 2028-2034) la presidente si riserverà la possibilità di rimescolare le carte nel suo Collegio, aggiustando l’organizzazione e la distribuzione delle responsabilità e, soprattutto, delle risorse. Anche senza modificare l’attuale ventaglio dei portafogli, infatti, von der Leyen potrebbe finire per alterare il peso specifico (e l’importanza relativa) dei membri della sua squadra per riflettere eventuali cambiamenti nelle priorità del nuovo budget dell’Unione. Ad esempio, nella parte finale di questo mandato (che scade nel 2029) potrebbero acquisire rinnovata centralità i dossier su difesa e allargamento: in quel caso, i commissari responsabili diventerebbero più importanti e potrebbero “scalare” la gerarchia del Collegio.