Bruxelles – Ci sono voluti esattamente 60 giorni ad Emmanuel Macron per trovare la quadra sul nuovo governo da dare alla Francia. Dopo settimane di profonda crisi politica, che in alcuni momenti è parsa sul punto di sfociare in una paralisi istituzionale, giovedì (5 settembre) il capo dello Stato ha finalmente nominato Michel Barnier per il ruolo di primo ministro, con l’incarico di formare un nuovo esecutivo. Volto noto del neogollismo transalpino, il 73enne ha alle spalle una vita nelle istituzioni, sia nazionali che europee. E ora dovrà cercare di ridare stabilità ad un Paese profondamente diviso, soprattutto in vista della difficile legge di bilancio da produrre in autunno.
Alla fine la sua partita se l’è giocata quasi tutta in solitaria, monsieur le Président. Una partita iniziata con la convocazione delle elezioni anticipate lo scorso 9 giugno, per prendere in contropiede l’estrema destra del Rassemblement national (Rn) di Marine Le Pen che aveva appena sbaragliato il centro liberale alle europee. Passando per lo “scippo” del governo alla coalizione progressista, quel Nouveau front populaire (Nfp) che, arrivato primo nelle urne ma senza la maggioranza assoluta all’Assemblée nationale, reclamava per l’economista parigina Lucie Castets la presidenza dell’esecutivo. Ma Macron, dopo lunghe consultazioni con le varie forze politiche (un inedito per la politica d’Oltralpe), ha deciso altrimenti.
La sinistra dell’Nfp, sosteneva il capo dello Stato, non sarebbe riuscita a sopravvivere alla sfiducia dell’Aula che sarebbe arrivata al primo voto utile. Dell’estrema destra del Rn, neanche a parlarne. Rimaneva così il centro, il “suo” centro liberale, che dopo la batosta delle europee era risorto come per magia ottenendo un insperato secondo posto alle legislative. E che, in un’Aula balcanizzata come mai prima d’ora, dovrà cercare di allargare la sua base parlamentare verso le altre forze politiche moderate ed europeiste, come sottolineato dall’ex premier Élisabeth Borne (compagna di partito di Macron), per la quale ora “sarà necessario trovare dei compromessi tra la sinistra progressista e la destra repubblicana”. Impresa tutt’altro che scontata.
Barnier, che sarà il premier più anziano della Cinquième République e succederà a quello più giovane di sempre, Gabriel Attal, è stato eletto parlamentare per ben sette volte (cinque da deputato e due da senatore) e ha ricoperto per quattro volte ruoli ministeriali a Parigi (all’Ambiente, agli Affari europei, agli Esteri e all’Agricoltura). La sua traiettoria politica è tutta nel centro-destra neogollista: dal Rassemblement pour la République (Rpr), la casa dei conservatori fedeli a Jacques Chirac e critici della linea di Valéry Giscard d’Estaing, Barnier si imbarca nel 2002 nell’Union pour un mouvement populaire (Ump) di Nicolas Sarkozy, per confluire nel 2015 nel nuovo partito nato col nome di Les Républicains (Lr), del quale ha cercato di vincere le primarie per diventare il candidato presidenziale nel 2022 perdendo però la nomination (che andò a Valérie Pécresse).
Barnier ha anche una lunga esperienza in Europa: nominato commissario per la prima volta nel 1999 nel Collegio Prodi (con delega alle Politiche regionali), è stato rinominato tra il 2010 e il 2014 nel secondo Collegio Barroso (dove è stato titolare al Mercato interno e poi responsabile ad interim dell’Industria) dopo una breve parentesi da eurodeputato (per qualche mese tra il 2009 e il 2010), per concludere la sua parabola a Bruxelles come capo negoziatore dell’Ue per l’attuazione della Brexit dal 2016 al 2021.
Come prevedibile, la nomina di Barnier è stata accolta con sollievo dagli alleati centristi del presidente e da diverse personalità europee. L’eurodeputato Sandro Gozi, italiano eletto in Francia e membro del gruppo Renew Europe, ha salutato la scelta di una “persona di assoluto valore politico e umano, un amico con il quale ho sempre lavorato molto bene nel corso degli ultimi vent’anni” che definisce “qualcuno capace di costruire e allargare il consenso intorno a sé, per aiutare la democrazia francese a uscire dalle difficoltà attuali”. La presidente (ri)eletta dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, si è congratulata con l’ex commissario: “So che Michel Barnier ha a cuore gli interessi dell’Europa e della Francia, come dimostra la sua lunga esperienza”, ha scritto su X.
Ma sull’altro lato dello spettro politico, l’investitura del premier conservatore è stata giudicata come uno schiaffo in faccia alla democrazia, un furto agli elettori e ai loro rappresentanti eletti. Jean-Luc Mélenchon, leader del partito di sinistra radicale La France insoumise (il più grosso tra quelli che costituiscono l’Nfp), si è scagliato contro il presidente della Repubblica: “Emmanuel Macron nega ufficialmente i risultati delle elezioni”, ha detto, sottolineando come i Républicains siano stati tra i peggiori sconfitti alle urne. Il capo dello Stato avrebbe così “rubato le elezioni al popolo francese” secondo il leader insoumis, mentre l’ex presidente socialista François Hollande ha puntato il dito contro un patto di desistenza stretto tra Macron e la destra radicale lepenista. Secondo lui, infatti, sarebbe “quasi certo” che la nomina di Barnier è potuta arrivare “perché il Rn, precisamente l’estrema destra, ha dato una sorta di avvallo” nella forma, verosimilmente, della promessa di non sfiduciarlo in sede di Assemblea. Ad annunciare un voto di censura è stato, invece, lo stesso Parti socialiste (Ps), anch’esso membro dell’Nfp: “Michel Barnier non ha né legittimità politica né legittimità repubblicana. Questa situazione estremamente grave è inaccettabile per noi democratici”, si legge in una nota del partito.
Insomma, al nuovo capo del governo transalpino spetta ora il difficile compito di ricomporre le profonde – e ancora sanguinanti – ferite politiche nel Paese. Far lavorare in modo produttivo il Parlamento sarà il primo, complicato banco di prova per Barnier, sulla cui agenda c’è già una data cerchiata in rosso, che si avvicina pericolosamente. È il primo ottobre, scadenza entro la quale il nuovo esecutivo dovrebbe presentare in Aula il progetto per la legge di bilancio 2025, un appuntamento che si annuncia particolarmente delicato, con un deficit che potrebbe toccare il 5,6 per cento nel 2024 e arrivare al 6,2 per cento l’anno prossimo. Il tutto sotto gli occhi attenti di Bruxelles, che lo scorso luglio ha aperto una procedura d’infrazione per disavanzo eccessivo contro Parigi (e altre sei capitali, inclusa Roma).
Tecnicamente, al premier non serve un voto di fiducia dei deputati per assumere formalmente le proprie funzioni, ma è verosimile che il nuovo primo ministro chieda comunque all’Assemblea di approvare le proprie linee programmatiche nei prossimi giorni. A quel punto si vedrà, numeri alla mano, se davvero la scommessa politica di Macron sarà risultata vincente.