Bruxelles – Per ora si tratta solo di un’opinione preliminare, che dovrà poi essere considerata dai giudici dell’Unione europea nella loro sentenza. Ma apre comunque uno spiraglio all’ennesima condanna ad Alphabet, compagnia madre di Google, per violazione delle leggi europee sulla concorrenza che potrebbe essere comminata dalla Corte di giustizia dell’Ue. Il caso in questione è quello aperto da Enel in Italia, che nel 2018 si è vista negare dall’azienda californiana l’accesso alla piattaforma Android auto, sulla quale il gruppo energetico voleva operare per fornire servizi di ricarica dei veicoli elettrici.
La controversia è nata quando, sei anni fa, Enel ha chiesto a Google di rendere compatibile con Android auto – un’applicazione, installata sui dispositivi mobili che utilizzano il sistema operativo Android Os, che consente di utilizzare alcune applicazioni dello smartphone dallo schermo integrato dell’automobile – la propria app JuicePass, che offre delle funzionalità per la ricarica delle vetture elettriche. Ora, normalmente esiste la possibilità per gli sviluppatori terzi (come appunto Enel) di creare le proprie versioni delle applicazioni che desiderano rendere compatibili con Android auto utilizzando a tale scopo dei modelli di software (template) forniti direttamente da Google.
Ma quando Enel ha chiesto al colosso statunitense di sviluppare un template specifico per applicazioni come JuicePass (fino a quel momento i template comprendevano soltanto app multimediali e di messaggistica), Google ha rifiutato adducendo come giustificazione presunte preoccupazioni relative alla sicurezza nonché la necessità di allocare le risorse per la creazione di nuovi template in maniera “razionale”. A quel punto, l’azienda energetica italiana ha interpellato il garante della concorrenza e del mercato (Agcm), il quale ha concluso che il comportamento del colosso digitale (che di fatto ostacolava l’inclusione di JuicePass su Android auto) si poneva in violazione con il diritto comunitario in materia di concorrenza, configurandosi come un caso di abuso di posizione dominante.
Google aveva impugnato tale decisione di fronte al Consiglio di Stato italiano, che a sua volta ha adito la Corte di Lussemburgo. Nelle conclusioni pubblicate giovedì (5 settembre), l’avvocata generale Laila Medina ha dunque fondamentalmente sostenuto le ragioni di Enel, rilevando che “la piattaforma alla quale si chiede di accedere non è stata sviluppata dall’impresa dominante per il suo uso esclusivo, ma è stata concepita e progettata al fine di essere alimentata da applicazioni di sviluppatori terzi” che non possono essere ostacolati se non per ragioni oggettive.
“Il rifiuto da parte dell’impresa dominante di concedere a un operatore terzo l’accesso a una piattaforma come quella in causa può essere oggettivamente giustificato qualora l’accesso richiesto sia tecnicamente impossibile o qualora esso possa incidere, da un punto di vista tecnico, sulle prestazioni della piattaforma o porsi in contrasto con il suo modello economico o con la sua finalità economica”. “Tuttavia”, prosegue la nota di Medina, “il semplice fatto che, al fine di concedere l’accesso a tale piattaforma, l’impresa dominante debba (…) sviluppare un template del software che tenga conto delle esigenze specifiche dell’operatore che chiede l’accesso non può di per sé giustificare un diniego di accesso”. Insomma, secondo l’avvocata generale è responsabilità di Google creare il template mancante per permettere ad Enel di accedere ad Android auto. Ora starà ai giudici della Corte decidere definitivamente sulla questione, emettendo una sentenza che il Consiglio di Stato dovrà poi osservare e che farà giurisprudenza anche per gli altri Stati membri.