Bruxelles – Era da prima del 7 ottobre dell’anno scorso, e prima della conseguente guerra nella Striscia di Gaza, che non si vedeva in Israele una protesta così partecipata. Nel weekend, decine di migliaia di persone hanno inondato le strade di Tel Aviv e Gerusalemme, mentre oggi (2 settembre) è in corso il primo sciopero nazionale da un anno e mezzo, che potrebbe essere prolungato. I manifestanti chiedono al primo ministro Benjamin Netanyahu di accettare un accordo con la leadership di Hamas e permettere il rientro degli ostaggi ancora vivi, dopo il rinvenimento di sei cadaveri israeliani nella Striscia.
“Domani l’intera nazione si fermerà e si unirà in un grido comune per riportare indietro gli ostaggi”, si legge nel comunicato diffuso domenica (1 settembre) da Histadrut, il sindacato più grande del Paese che rappresenta circa 800mila lavoratori. L’annuncio della mobilitazione, giunto per voce del segretario dell’associazione Arnon Bar-David, è arrivato durante la manifestazione di ieri sera, organizzata nella capitale israeliana dal forum delle famiglie degli ostaggi rapiti durante l’attacco del 7 ottobre. Bar-David si è riservato di valutare un’eventuale estensione dello sciopero oltre la giornata di lunedì.
Le proteste di domenica sono state fortemente partecipate anche a causa della notizia, giunta la mattina stessa, del ritrovamento dei cadaveri di sei ostaggi nei tunnel sotto la città palestinese di Rafah, nel sud della Striscia. A Tel Aviv si sono radunate decine di migliaia di persone per chiedere al governo di intensificare gli sforzi negoziali e riportare a casa le decine di ostaggi ancora in vita – il cui numero non si conosce con esattezza, ma che secondo le stime dovrebbero essere circa una settantina. I manifestanti hanno esibito delle bare per sottolineare le responsabilità del governo nella morte degli ostaggi, dato lo stallo nelle trattative con i dirigenti di Hamas che appare motivato più da calcoli politici interni all’esecutivo di Bibi che non da considerazioni pragmatiche. Anche a Gerusalemme, fuori dell’ufficio del premier, si sono raggruppate folle di contestatori. In alcuni casi, soprattutto nella capitale Tel Aviv, si sono registrati scontri con la polizia.
Così, dalle 6 locali di questa mattina (le 5 italiane) centinaia di migliaia di lavoratori hanno incrociato le braccia, nello sciopero più ampio realizzato dal marzo 2023, prima dell’inizio delle operazioni militari dell’Idf nella Striscia. L’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv è rimasto bloccato per un paio d’ore in mattinata, mentre i trasporti e i servizi pubblici (incluse le scuole) sarebbero stati fortemente ridotti. Del resto, lo stesso sindaco della capitale, Ron Huldai, ha pubblicamente invitato i dipendenti dell’amministrazione a partecipare allo sciopero.
Mentre i negoziati sono sostanzialmente bloccati a causa delle richieste inconciliabili delle due parti, sono partite le vaccinazioni nella Striscia per prevenire l’esplosione di un’epidemia di poliomielite tra i bambini palestinesi. La pausa nei combattimenti, limitata soltanto ad alcune zone e ad una specifica fascia oraria giornaliera, dovrebbe durare tre giorni e permettere la vaccinazione di tutti i bambini sotto i dieci anni di età, che sono oltre 640mila. Un’impresa il cui esito positivo è tutt’altro che scontato.
Nel frattempo, continuano le violenze nella Cisgiordania occupata, dove è in corso una grande operazione militare israeliana che ha interessato diverse città e che ha già fatto almeno una quindicina di morti palestinesi. Il tutto dopo che, lo scorso luglio, il governo israeliano aveva spinto ulteriormente sull’acceleratore dell’occupazione illegale nei Territori palestinesi in una mossa che è valsa nuove sanzioni da parte dei Ventisette.
L’Alto rappresentante Ue per la politica estera Josep Borrell ha proposto formalmente giovedì scorso (29 agosto) di sanzionare i ministri della Sicurezza (Itamar Ben-Gvir) e delle Finanze (Bezalel Smotrich) in risposta alle posizioni espresse recentemente dai due (entrambi appartenenti a partiti di estrema destra, su cui si regge il governo di Netanyahu) riguardo alla necessità di bloccare la distribuzione degli aiuti umanitari nella Striscia e alla possibilità, giustificabile in termini “morali”, di affamare la popolazione palestinese.