Bruxelles – Italia e corruzione, un binomio pericoloso, troppo. Nel Paese i livelli di guardia sono insufficienti, secondo il Consiglio d’Europa, e i rischi associati a un fenomeno che si considera come preoccupante si vedono soprattutto nei posti chiave, quelle decisionali. L’organizzazione internazionale di cui l’Italia fa parte accende i riflettori sulla politica, perché è qui che si vedono rischi, ed è qui che si chiedono i correttivi del caso. L’Italia deve “migliorare l’efficacia del suo sistema per promuovere l’integrità e prevenire la corruzione nel governo e nelle autorità di contrasto”, recita lo speciale rapporto redatto dal Gruppo di Stati contro la corruzione (Greco), lo speciale organismo interno del Consiglio d’Europa.
E’ convinzione del Consiglio d’Europa che nel caso italiano servano “misure determinate per prevenire la corruzione nei confronti delle persone con funzioni esecutive di alto livello, tra cui il Presidente del Consiglio dei ministri, i ministri, i sottosegretari di Stato, i commissari straordinari e speciali”, e non solo loro. Anche i membri degli uffici di collaborazione diretta, i membri della Polizia di Stato, dei Carabinieri e della Guardia di Finanza sono inclusi tra i soggetti considerati come troppo esposti a fenomeni di corruzione.
La situazione non appare proprio rosea, vista da Strasburgo. Nessuna accusa a nessuno, non si mette in discussione questo o quell’esecutivo nazionale, ma certamente si chiede al governo in carica di correre ai ripari. Per Giorgia Meloni ben 19 raccomandazioni, non poche, su cui si tireranno le somme nel 2026. Si concedono al Paese due anni scarsi per stringere maglie e libertà di manovra nei confronti dei malintenzionati. Tre i correttivi richiesti il rafforzamento delle norme su regali, benefit, inviti, contatti con i lobbisti e sul post-incarico pubblico, perché anche ciò che si farà dopo il mandato può essere oggetto di conflitto di interessi.
A proposito di conflitto d’interessi, è proprio qui che emergono i limiti del sistema Paese. Il gruppo Greco riconosce che l’Italia ha in realtà un quadro giuridico “considerevole” in materia di prevenzione e lotta alla corruzione, che però è “complicato da gestire, a scapito della sua efficienza”, e ciò risulta “particolarmente evidente nella regolamentazione dei conflitti di interesse” e della divulgazione finanziaria, dove si applicano norme diverse che però non coprono adeguatamente tutte le persone con funzioni esecutive di alto livello.
La politica gode in sostanza di privilegi concessi dalla legge che li rende più vulnerabili a fenomeni corruttivi. Per questo si chiedono le correzioni del caso. Nello specifico sarebbero appropriati “un’analisi sistemica dei rischi di integrità e un codice di condotta specifico dovrebbero applicarsi a tutti”. Al governo Meloni il compito delle riforme del caso. Come per libertà di stampa e diritti delle donne.