Bruxelles – Non sembra destinata a concludersi tanto presto la saga della formazione del nuovo esecutivo transalpino. Si chiude oggi il primo giro di consultazioni avviate venerdì dal presidente Emmanuel Macron con i rappresentanti delle principali forze politiche presenti in Parlamento, allo scopo di trovare un’intesa sul nome del prossimo premier ministre. Ma difficilmente sarà conclusivo, e il campo della sinistra continua a essere in fibrillazione.
Partiamo dai numeri. In un inedito storico per la Quinta Repubblica, le elezioni anticipate dello scorso luglio hanno consegnato al Paese un’Assemblée nationale altamente frammentata, in cui nessuno dei tre blocchi principali può governare da solo e i voti si contano sul filo del rasoio (la soglia della maggioranza assoluta in Aula è 289 sui 577 totali). La coalizione delle sinistre, sotto le insegne del Nouveau front populaire (Nfp), ha 193 seggi: di questi, 72 sono della sinistra radicale di Jean-Luc Mélenchon, leader de La France insoumise (Lfi), 66 del Parti socialiste (Ps), 38 degli ecologisti e 17 dei comunisti. L’ex maggioranza presidenziale, Ensemble, dispone di 166 eletti tra il partito di Macron, Renaissance (99 deputati), Mouvement démocrate (36) e Hórizons (31). L’estrema destra del Rassemblement national (Rn) e alleati dispone di 142 parlamentari, mentre i Républicains (Lr) di centro-destra (che stanno ancora cercando di defenestrare il leader Éric Ciotti, reo di essersi alleato con Marine Le Pen) hanno eletto 39 legislatori.
La partita per la formazione del nuovo esecutivo è dunque particolarmente delicata, tanto più che la cultura politica d’Oltralpe non è abituata ai compromessi e alle coalizioni variegate, a differenza di quanto accade alle nostre latitudini. I due partiti più rappresentanti in Parlamento, Lfi sulla sinistra e Rn a destra, sono considerati troppo estremisti e improponibili dal resto dell’arco repubblicano. In questo contesto, Macron è convinto di poter continuare a dare le carte, nonostante la cocente sconfitta elettorale alle europee – proprio quella che ha messo in moto il carrozzone delle legislative anticipate, in cui il suo Renaissance ha portato a casa un insperato secondo posto (grazie però alla strategia del premier, Gabriel Attal, di fare campagna in prima persona distanziando il partito dalla figura dell’inquilino dell’Eliseo).
Ora, l’Nfp vorrebbe insediare a palazzo Matignon, sede dell’esecutivo, l’economista e funzionaria pubblica Lucie Castets. Ma monsieur le Président aveva già bocciato il suo nome il mese scorso, e sembra intenzionato a rimanere fermo sul “no” alla candidata del fronte progressista. Fronte che sperava di frammentare mettendo il veto sulla partecipazione degli “insoumis” al governo – una strategia che mette pressione agli alleati più moderati di Lfi, a partire dai socialisti, sempre più insofferenti nei confronti del leader barricadero della gauche radicale.
Dopo aver minacciato l’impeachment di Macron, Mélenchon aveva fatto un passo di lato, proponendo una formula alternativa agli interlocutori politici dell’Assemblea in cambio di un loro impegno a non votare una mozione di censura: l’Nfp al governo con Castets, ma senza Lfi. “Se il governo di Lucie Castets non comprendesse nessun ministro insoumis, vi impegnereste a non votare la censura e a permetterle di attuare il programma per il quale siamo usciti vincitori dalle elezioni legislative?”, ha domandato ai leader dei partiti di centro e di destra durante un’ospitata televisiva. Secondo alcuni analisti, si è trattato di un gioco d’anticipo del capo della sinistra, con cui cerca di prendere in contropiede il presidente (il quale, mettendo “fuorigioco” il partito più grosso del fronte progressista, pensava di allontanare la prospettiva di un governo dell’Nfp). Secondo altri, si tratta di una manovra per spianarsi la strada alle presidenziali del 2027: se questo accordo permetterà al Front populaire di salire al governo, sarà stato merito di Mélenchon; e se il governo andrà male, non sarà sua la responsabilità.
Sia come sia, la proposta, per il momento, è caduta nel vuoto. Le consultazioni di venerdì con la delegazione unitaria delle sinistre (guidata proprio da Castets) non hanno portato ad un esito risolutivo, nonostante l’economista abbia elogiato l’atteggiamento “lucido” di Macron. Il quale, però, sembrerebbe ancora in preda alla “tentazione di creare il suo proprio governo”. Al capo dello Stato non va giù l’idea di un governo che realizzi il programma dell’Nfp (dal salario minimo all’abolizione della contestata riforma delle pensioni voluta da Macron), e starebbe ancora considerando di creare un esecutivo centrista racimolando, per puntellarlo, deputati moderati da sinistra e da destra (cioè da socialisti e Les républicains).
Per il momento, dunque, nessuna fumata bianca. La destra radicale lepenista, convocata questa mattina per le consultazioni, sta a guardare senza partecipare direttamente ai giochi. Mentre a sinistra le acque continuano ad essere agitate. Il leader socialista Olivier Faure ha nuovamente richiamato l’Eliseo alle sue responsabilità, cercando di scoprire il bluff del presidente: il “pretesto” di Macron “per rifiutare la nomina di Lucie Castets è stato rimosso” con la mossa di Mélenchon, ha dichiarato in mattinata a Franceinfo. “In nome di quale diritto divino ci sarebbe la possibilità per persone che hanno perso un’elezione di dire chi governa e chi non governa?”, si è chiesto il deputato, sottolineando che l’Nfp non intende “imporre” il proprio programma: “Presenteremo ciò che gli elettori ci hanno chiesto di produrre e difendere, e poi ci sarà un dibattito in Parlamento per trovare compromessi, e persino il consenso, per consentire al Paese di raggiungere il miglior risultato possibile”.
Il presidente Macron non ha ancora risposto pubblicamente alla proposta di Mélenchon. Ma potrebbe parlare alla nazione già in serata, per fornire la sua lettura degli ultimi sviluppi ai francesi che da oltre due mesi sono governati da un esecutivo dimissionario. E che, con ogni probabilità, dovranno attendere ancora per avere a Matignon un (o una) premier con pieni poteri.