Bruxelles – Mentre sta prendendo forma la seconda Commissione von der Leyen, con l’Italia rimasta tra gli ultimi Paesi a non aver ancora comunicato ufficialmente il proprio candidato per il prossimo Collegio, ci sono alcuni Stati del blocco che si trovano attualmente senza governo. O meglio, sono guidati da un esecutivo dimissionario, in seguito a tornate elettorali inconcludenti o a crisi di governo particolarmente acute. Chi tra i Ventisette si trova in questa situazione?
In Francia, le europee dello scorso giugno hanno provocato un vero e proprio cataclisma politico che ha portato l’estrema destra del Rassemblement national (Rn) di Marine Le Pen e del suo delfino Jordan Bardella (che all’Europarlamento siede coi Patrioti d’Europa insieme alla Lega di Matteo Salvini e a Fidesz di Viktor Orbán) a doppiare abbondantemente la coalizione centrista del presidente Emmanuel Macron, Besoin d’Europe (nei liberali di Renew Europe). Alle elezioni legislative anticipate convocate a sorpresa dall’inquilino dell’Eliseo, la coalizione progressista del Nouveau front populaire (Nfp), che include una serie di partiti che vanno dai socialisti alla sinistra radicale passando per comunisti e ambientalisti, ha ottenuto inaspettatamente la maggioranza relativa.
Con un Parlamento balcanizzato (nessuno dei tre blocchi principali – centro-sinistra, centro e destra radicale – ha i numeri per governare da solo) Macron ha dunque mantenuto alla guida del governo il premier dimissionario Gabriel Attal, chiedendo una “tregua olimpica” per sospendere le liti tra le forze politiche durante i giochi di Parigi 2024. Ora che le Olimpiadi sono finite, le ostilità nella politica transalpina sono riprese con una richiesta di impeachment del presidente da parte del leader de La France insoumise (Lfi), Jean-Luc Mélenchon. Una mossa che ha pochissime chances di ottenere alcun risultato reale se non quello di frantumare definitivamente l’unità delle sinistre, dato che tutti gli altri membri dell’Nfp hanno preso le distanze dalle bordate della gauche radicale.
Macron ha iniziato oggi (23 agosto) un giro di consultazioni con i partiti rappresentati all’Assemblée nationale, per tentare di trovare una quadra e dare alla Francia un nuovo esecutivo. Dopo che il fronte progressista era faticosamente riuscito a trovare una candidata premier unitaria nella figura dell’economista Lucie Castets, ora quegli sforzi di mediazione potrebbero essere vanificati dall’esuberanza di Mélenchon. Secondo alcuni analisti, monsieur le Président potrebbe tentare l’ennesima mossa del cavallo e imporre al Parlamento un candidato centrista, come fatto con l’elezione del presidente dell’Aula lo scorso luglio.
Oltre le Ardenne, anche il Belgio è senza un governo dalle scorse europee, quando i cittadini hanno votato non solo per eleggere i propri rappresentanti a Strasburgo ma anche per il rinnovo dei Parlamenti regionali (fiammingo e vallone) e di quello federale. Su scala nazionale, i liberaldemocratici fiamminghi del premier Alexander De Croo (Open-Vld) sono andati male insieme agli ecologisti (i francofoni di Ecolo e i Groen fiamminghi), mentre hanno ottenuto un buon successo gli indipendentisti fiamminghi di destra radicale del Vlaams belang (Vb) e i liberali valloni del Mouvement réformateur (Mr), arrivati rispettivamente secondo e terzo dietro alla Nieuw-Vlaamse Alliantie (N-Va), storico alfiere dell’indipendentismo fiammingo di destra (in Europa siede con i Conservatori dell’Ecr).
Così, dopo 70 giorni di trattative, anche a Bruxelles oggi si tiene un nuovo round di consultazioni, all’indomani del fallimento del primo tentativo di formare un nuovo esecutivo. Bart De Wever, leader dell’N-Va, ha rassegnato le dimissioni da formator nelle mani del re Filippo nella serata di giovedì (22 agosto), ma è probabile che ora il sovrano cerchi la strada di un nuovo accordo all’interno della medesima coalizione pentapartitica che vede accanto all’N-Va altre due formazioni fiamminghe (i socialdemocratici di Vooruit e i cristiano-democratici di Cd&V) e due vallone (i liberali di Mr e di Les éngagés).
Al contrario della Francia, tuttavia, per il Belgio l’instabilità è una costante della vita politica nazionale, dato il delicato equilibrio tra istanze amministrative, linguistiche e culturali nella complessa struttura federale che si è data la monarchia costituzionale. È proprio questo Paese a detenere il record mondiale di formazione di un governo: l’esecutivo di De Croo, entrato in carica il primo ottobre 2020, era il primo dotato di pieni poteri dopo oltre 650 giorni dalla crisi della coalizione guidata da Charles Michel, nel dicembre 2018. Un record che lo Stato nordeuropeo ha strappato a se stesso, superando il precedente di 589 giorni tra il 2010 e il 2011.
Più a sud, la formazione di un esecutivo ha ormai preso i contorni di un’impresa impossibile in Bulgaria. Dall’aprile 2021, nel Paese balcanico i cittadini si sono recati alle urne per ben sei volte, e una settima elezione anticipata è stata fissata in calendario per il 20 ottobre prossimo dopo che i negoziati per creare un governo sono falliti per l’ennesima volta a inizio agosto. Sofia si sta così trascinando sull’orlo di una delle più acute crisi costituzionali di sempre, mentre si deteriora la situazione dei diritti civili.
Anche in Bulgaria si era votato per le legislative in concomitanza alle europee, il 9 giugno scorso, ma dalle elezioni non era emerso nessuno schieramento (tantomeno un singolo partito) abbastanza forte da governare. Il primo partito è risultato ancora il conservatore Gerb (membro dei Popolari europei), guidato dall’ex premier Boyko Borissov, ma è sfumato l’accordo con la destra populista dell’Itn (che in Europa sta con l’Ecr) e i liberali del Dps (Renew). E nemmeno sono riusciti a trovare una quadra per governare gli altri liberali, quelli del Pp, che ad aprile avevano innescato la crisi politica tutt’ora in corso ritirando l’appoggio all’esecutivo di coalizione con Gerb.
Comprensibilmente, l’insofferenza dei cittadini bulgari è sempre più alta: dal 50,61% di affluenza dell’aprile di tre anni fa la partecipazione elettorale è crollata verticalmente al 34,41% dello scorso giugno. E ne è consapevole anche il presidente della Repubblica, Rumen Radev: “La spirale elettorale continua a infuriare e non causa solo irritazione, ma sblocca anche una serie di processi distruttivi, il blocco di diverse istituzioni e l’alienazione dei cittadini”, ha dichiarato, esortando le forze politiche a escogitare un modo per uscire dall’impasse. Alla finestra, intanto, stanno gli ultranazionalisti euroscettici e filo-russi di Vazrazhdane (affiliati all’Europa delle nazioni sovrane a Strasburgo), che stanno cavalcando l’onda del discontento e della disillusione dell’elettorato.