Bruxelles – Budapest continua a fare spallucce sulla questione degli ingressi agevolati per cittadini russi e bielorussi, che sta preoccupando tanto Bruxelles quanto gli altri Stati membri. Il cosiddetto programma “Carta Nazionale”, tramite cui l’Ungheria permette ai residenti dei due Paesi di ottenere un permesso di soggiorno con procedure più spedite, rimane per il momento immutato. L’esecutivo comunitario aveva chiesto delle rassicurazioni da parte del governo di Viktor Orbán entro lunedì (19 agosto). Ma nessuno si è preoccupato di rispondere alle richieste fatte nero su bianco dalla Commissione europea, alzando così la temperatura dell’ennesimo braccio di ferro tra la cancelleria ungherese e l’Unione.
Secondo lo schema al centro delle polemiche, che è entrato in vigore in concomitanza con l’inizio della presidenza di turno ungherese del Consiglio Ue (nei primi giorni di luglio) e modifica il quadro normativo relativo all’immigrazione, viene concesso ai cosiddetti “lavoratori ospiti” provenienti da otto Paesi terzi, tra cui Russia e Bielorussia, di soggiornare per due anni in Ungheria, con la possibilità di rinnovare il permesso per altri tre anni. Le nuove regole sui cosiddetti “visti rapidi” rendono il processo burocratico più spedito rispetto al rilascio di visti e permessi di lavoro regolari, e prevedono procedure agevolate anche per i ricongiungimenti familiari.
Lo scorso primo agosto, la commissaria Ue agli Affai interni, Ylva Johansson, aveva inviato una lettera al suo omologo ungherese Sándor Pintér chiedendo chiarimenti su questo sistema che, di fatto, agevola l’ingresso sul territorio dell’Unione di cittadini provenienti da due Paesi terzi che Bruxelles considera ostili, permettendo loro di circolare liberamente nell’area Schengen. Il timore è che questa mossa possa aprire una falla nella sicurezza del blocco, fungendo da “cavallo di Troia” per spie e sabotatori al soldo del Cremlino che potrebbero addirittura ottenere la residenza permanente in uno Stato membro.
E non si tratta di una preoccupazione della sola Commissione. Come riporta Euractiv, i titolari degli Esteri, degli Interni e della Giustizia di sei Paesi Ue (Danimarca, Estonia, Finlandia, Lettonia, Lituania e Svezia) più due extra-Ue (Islanda e Norvegia) si sono rivolti a Bruxelles lo scorso 15 agosto denunciando esplicitamente l’alleggerimento delle restrizioni legali sull’immigrazione decisa dal governo magiaro.
Tecnicamente, il rilascio di visti e permessi di soggiorno è una competenza nazionale. Ma le cancellerie europee devono prestare attenzione “per non mettere a rischio l’integrità del nostro spazio comune senza controlli alle frontiere interne”, aveva sottolineato Johansson nella sua missiva, sottolineando che è compito dei governi “considerare debitamente le potenziali implicazioni per la sicurezza”. Un ragionamento ripreso anche dagli otto Stati che hanno sottoscritto la lettera alla Commissione. La stessa Johansson aveva caldeggiato “standard di controllo e vigilanza più elevati” per i cittadini russi che tentano di entrare nell’Unione, nella direzione diametralmente opposta rispetto a quella imboccata con il nuovo provvedimento adottato dall’Ungheria. Che, sostengono i critici, finisce per ledere sostanzialmente lo spirito di leale collaborazione tra gli Stati membri e per pregiudicare l’efficacia delle disposizioni del diritto comunitario, comprese tanto le regole interne a Schengen quanto le restrizioni sui cittadini di Paesi terzi.
Allo scadere della deadline fissata dalla Commissione per ieri, non sarebbe giunta da Budapest alcuna risposta formale alle questioni sollevate da Johansson. L’unico commento da parte dell’esecutivo magiaro è arrivato per bocca del ministro degli Esteri, Peter Szijjártó, il quale ha dichiarato che “l’inclusione di cittadini russi e bielorussi nel programma National Card non comporta alcun rischio per la sicurezza dal punto di vista dell’area Schengen, poiché queste persone devono comunque sottoporsi a un controllo completo per entrare e soggiornare in Ungheria”. Szijjártó ha bollato come “bugie” le affermazioni degli omologhi europei, che sarebbero “accecati dalla loro adesione al campo della guerra”, cioè al sostegno politico e militare garantito all’Ucraina contro l’aggressione russa.
Ora, la patata bollente finirà con ogni probabilità sul tavolo dei ministri degli Esteri e della Difesa dei Ventisette che si riuniranno in un Consiglio informale il 28 e 29 agosto prossimi. La riunione, che in gergo Ue si suole chiamare Gymnich (dal nome della località tedesca dove si tenne il primo incontro di questo tipo nel 1974), è un appuntamento fondamentale in vista della ripresa a pieno regime dei lavori del blocco dopo la pausa estiva. Tradizionalmente, viene ospitato dal Paese che detiene la presidenza di turno: in questo caso dovrebbe dunque tenersi a Budapest, ma data l’irritazione provocata dalle disinvolte “missioni diplomatiche” del premier ungherese in Ucraina, Russia, Cina e Stati Uniti lo scorso 22 luglio era stata presa la decisione di organizzare l’incontro a Bruxelles. Tra le opzioni a disposizione della Commissione per rimettere in riga l’esecutivo magiaro ci sarebbe, teoricamente, la sospensione dell’Ungheria dallo spazio Schengen, ma si tratterebbe di una mossa altamente conflittuale che rappresenterebbe un pericoloso precedente.