Bruxelles – Sono passati quasi vent’anni, eppure la saga dei balneari contro la direttiva Bolkestein incendia ancora le spiagge italiane. Perché per domani (9 agosto) è stato indetto uno sciopero dalla Federazione Italiana Pubblici Esercizi (l’associazione di Confcommercio che rappresenta le imprese del turismo) e la Federazione sindacale della Confesercenti (che rappresenta i balneari): ombrelloni chiusi per due ore – tra le 7.30 e le 10.30, in protesta contro il governo guidato da Giorgia Meloni che, nonostante le promesse elettorali, non è riuscito a bloccare le gare delle concessioni balneari previste secondo la legislazione Ue. Nonostante l’opposizione degli attuali gestori degli stabilimenti e delle attività in concessione su spiagge e aree demaniali, con un ritardo di 15 anni le aste finalmente si terranno nel 2025. E la saga sembra avviarsi verso la chiusura, perché ormai il governo italiano è a corto di strumenti per giustificare a Bruxelles il continuo rinvio straordinario della scadenza delle concessioni.
Lo sciopero di domani è solo il primo di una serrata che, in caso di mancata risposta del governo di Roma, si ripeterà anche il 19 agosto per quattro ore (dalle 7.30 alle 11.30) e il 29 agosto per otto ore (dalle 7.30 alle 15.30). Dopo l’ultimo rinvio inserito nella prima legge di bilancio approvata dal governo Meloni nel dicembre 2022 – che aveva prorogato la scadenza delle concessioni fino alla fine del 2024 – per quest’anno non è stata trovata una soluzione percorribile per bloccare le aste: dal gennaio 2025 anche l’Italia dovrebbe così adeguarsi a tutti gli effetti alla direttiva Ue del 2006 relativa ai servizi nel Mercato europeo comune. I balneari però denunciano l’assenza di criteri comuni a livello nazionale sulle gare, che impedirebbe la definizione di regole armoniche tra ente locale ed ente locale per l’assegnazione delle concessioni, e pretendono il riconoscimento di un indennizzo economico per i concessionari uscenti, nonostante a riguardo si sia espressa in senso contrario anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Balneari vs Bolkestein, dal 2006 a oggi
I balneari sono solo una delle varie categorie di lavoratori che in Italia si oppongono alla direttiva Bolkestein, come anche gli ambulanti e i tassisti. In sintesi, la direttiva approvata dal Parlamento Europeo e dal Consiglio dell’Ue (che rappresenta tutti i governi nazionali) nel 2006 è una tipologia di legislazione dell’Unione Europea che deve essere recepita nel diritto di ciascuno Stato membro. L’Italia l’ha fatto nel 2010, sotto l’ultimo governo guidato da Silvio Berlusconi, e da allora ha forza di legge su tutto il territorio nazionale, così come su quello degli altri Paesi membri dell’Unione. La violazione di una direttiva Ue può comportare l’apertura di una procedura di infrazione da parte della Commissione Europea e, in caso di continua inadempienza, un deferimento alla Corte di Giustizia dell’Ue e l’imposizione di una multa.
La direttiva prende il nome dall’ex-commissario europeo responsabile per il Mercato interno nella Commissione Prodi (1999-2004), l’olandese Frits Bolkestein, e ha il compito di promuovere lo sviluppo del Mercato unico europeo di beni e servizi in maniera libera e leale, evitando zone di privilegio o protezionismo ed eliminando le barriere tra gli Stati. La direttiva ha tre pilastri, ovvero libertà di stabilimento e sportelli unici, libera circolazione dei servizi e collaborazione tra gli Stati membri. Il perno centrale è contenuto nel secondo pilastro, che prevede libertà di circolazione di servizi ma offerti solo in via temporanea e per un periodo limitato di tempo. In sostanza, secondo quanto previsto da questa legislazione Ue, qualunque cittadino dell’Unione può vendere temporaneamente i propri servizi in qualsiasi Paese membro senza protezionismi. Ecco perché i Ventisette devono aprire regolarmente bandi di gara per le concessioni sulle aree pubbliche – come quelle balneari, appunto – allo scopo di favorire la concorrenza e offrire un miglior servizio ai consumatori.
Tuttavia, in Italia la cosiddetta direttiva Bolkestein è da sempre avversata da categorie professionali – come i balneari – che si tramandano le licenze di generazione in generazione o attraverso modalità informali, in violazione di una legislazione europea che da quasi 15 anni ha forza di legge in Italia. Per evitare uno scontro con Bruxelles, dal 2006 a oggi i governi italiani di qualsiasi orientamento politico hanno rinviato in maniera straordinaria la scadenza delle concessioni balneari, prorogandole (e così posticipando continuamente la data di apertura dei bandi). Già nel 14 luglio 2016 la Corte di Giustizia dell’Ue aveva sancito che le autorizzazioni per l’utilizzo della fascia costiera non possono essere rinnovate automaticamente ma devono essere oggetto di una procedura di selezione, una bocciatura nei confronti dell’Italia ribadita anche il 20 aprile 2023 dagli stessi giudici del Lussemburgo.
Sull’esecutivo italiano pendono diverse sentenze del Consiglio di Stato (secondo grado della giustizia amministrativa), che ha riconosciuto il primato delle norme Ue sulle proroghe concesse dai governi precedenti e ha stabilito che le concessioni balneari non possono essere prorogate automaticamente. Non solo. Dopo la procedura d’infrazione avviata il 3 dicembre 2020, la Commissione Europea ha inviato un parere motivato (il secondo passo della procedura stessa) il 16 novembre 2023 – senza dare troppa pubblicità alla decisione – invitando il governo Meloni a rispondere entro due mesi per evitare di procedere oltre, ovvero deferire l’Italia alla Corte di Giustizia dell’Ue, con il rischio di conseguenti multe salate.
La risposta da Roma è arrivata all’ultimo momento utile, lo scorso 16 gennaio, e da allora sono in corso le verifiche e le analisi del caso da parte dell’esecutivo Ue (una decisione era prevista per dopo le elezioni europee del 6-9 giugno), in particolare a proposito della mappatura delle coste per provare l’eccezione secondo il principio della scarsità del bene. Nel frattempo però i giudici del Lussemburgo hanno deliberato in una sentenza dello scorso 11 luglio che al termine della concessione balneare lo Stato può espropriare in maniera automatica ciò che è stato costruito da chi ha ricevuto il permesso di gestione del suolo pubblico, “gratuitamente e senza indennizzo”.