Bruxelles – Alla lista dei candidati commissari per il nuovo Collegio guidato ancora da Ursula von der Leyen si aggiunge oggi (29 luglio) anche Olivér Várhelyi, confermato dal governo dell’Ungheria per rimanere per altri cinque anni al Berlaymont. Ma se le conferme di altri membri uscenti della Commissione von der Leyen – dallo slovacco Maroš Šefčovič al lettone Valdis Dombrovskis, fino all’olandese Wopke Hoekstra – non sembrano particolarmente problematiche, lo stesso non si può dire per la scelta di Budapest, che potrebbe scontrarsi con lo scetticismo (se non qualcosa di più) a Bruxelles sia per quanto riguarda il portafoglio da assegnare all’Ungheria nella Commissione von der Leyen-bis sia proprio per il nome del commissario candidato, al centro di controversie e pesanti polemiche soprattutto negli ultimi anni di legislatura.
“A seguito della mia recente consultazione telefonica con la presidente della Commissione von der Leyen, il mio candidato è ancora una volta Olivér Várhelyi“, ha reso noto con un post su X il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán, spiegando che “negli ultimi cinque anni il commissario Várhelyi ha dimostrato che l’Ue può fare la differenza come forza positiva nel suo vicinato e oltre” e dicendosi certo che “farà un ottimo lavoro nella prossima Commissione”. Mercoledì scorso (24 luglio) in una lettera ai capi di Stato e di governo la numero uno dell’esecutivo Ue aveva messo in chiaro la sua richiesta per i candidati commissari (da presentare entro il 30 agosto): un uomo e una donna, fatta eccezione per quei governi che decidono di confermare il commissario o la commissaria uscente. A pochi minuti dalla nomina di questa mattina, l’attuale responsabile per l’Allargamento e la politica di vicinato ha ringraziato il premier ungherese per “l’onore immenso” di essere nominato per “continuare a servire come membro ungherese della Commissione Europea”, e ha rilanciato il “nostro lavoro comune con la presidente von der Leyen“.
Ma la conferma di Várhelyi per altri cinque anni alla Commissione Europea è tutto fuorché scontata, in primis per il portafoglio del commissario ungherese. In particolare dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022 e la richiesta di adesione all’Unione da parte di Kiev (oltre che dalla Moldova e dalla Georgia), la questione dell’allargamento Ue è diventata una delle più delicate e cruciali per la Commissione Europea e l’intera Unione. Allo stesso tempo l‘Ungheria di Orbán si è distinta come il Paese membro più problematico su questo fronte: ha tentato di bloccare l’avvio dei negoziati di adesione dell’Ucraina, ha mostrato posizioni quantomeno discutibili sull’invasione russa, ha impedito l’adozione di regimi di sanzioni contro la Serbia e contro la Republika Srpska (l’entità serba della Bosnia ed Erzegovina) a causa del forte legame tra regimi illiberali che sta mettendo a rischio l’equilibrio nella regione dei Balcani Occidentali. In altre parole, in un momento in cui l’Unione si trova di fronte a una delle sfide più grandi della sua storia – allargarsi ad altri 10 aspiranti e allo stesso tempo riformarsi internamente – affidare proprio all’Ungheria le leve del comando di una sfera politica diventata improvvisamente vitale potrebbe verosimilmente non essere la prima opzione di von der Leyen nell’assegnare i vari portafogli ai futuri commissari.
E poi c’è la questione del nome di Várhelyi, perché il commissario ungherese è stato senza dubbio il membro più controverso di tutto il gabinetto von der Leyen. Diverse fonti interne alla direzione generale Vicinato e negoziati di allargamento (Dg Near) riferiscono a Eunews di frequenti malumori a diversi livelli per le posizioni e il modus operandi del commissario responsabile, le stesse ragioni che hanno portato a pesanti scontri e polemiche con il Parlamento Europeo. Nel gennaio dello scorso anno il rapporto annuale sulla politica estera e di sicurezza comune adottato in sessione plenaria evidenziava la preoccupazione degli eurodeputati per “le notizie secondo cui il commissario per l’Allargamento Ue cerca deliberatamente di aggirare e minare la centralità delle riforme democratiche e dello Stato di diritto nei Paesi in via di adesione all’Ue“. Solo un mese dopo lo stesso Várhelyi è stato pizzicato commentare – senza accorgersi del microfono ancora acceso – “Quanti idioti ci sono ancora?“, parlando degli eurodeputati intervenuti al question time sul rafforzamento della politica di allargamento Ue nei Balcani Occidentali.
Várhelyi, prima di essere nominato commissario nel 2019, è stato ambasciatore a Bruxelles per l’Ungheria di Orbán. Nonostante il ruolo di indipendenza che deve contraddistinguere i membri dell’esecutivo Ue rispetto agli interessi nazionali, il responsabile per la Politica di vicinato e l’allargamento Ue è sospettato di aver avallato le posizioni secessioniste del presidente serbo-bosniaco, Milorad Dodik, e di essere la testa di ponte del governo di Budapest al Berlaymont per ostacolare le sanzioni economiche contro i responsabili della crisi istituzionale e democratica in Bosnia ed Erzegovina. Il problema per il candidato commissario dell’Ungheria è che la sua conferma deve passare proprio dal Parlamento Europeo: tra settembre e ottobre ogni commissione parlamentare esaminerà i candidati con domande scritte e in audizione pubblica, ciascuna sulla base del proprio ambito di competenza. Gli eurodeputati avranno così tra le mani la possibilità di bocciare Várhelyi e chiedere un nuovo nome a Budapest, sia se sarà confermato da von der Leyen alla guida della politica di allargamento (la competenza sarebbe della commissione Affari esteri) sia se lo destinerà ad altre mansioni nel nuovo Collegio dei commissari.