Bruxelles – L’Italia, come la Spagna, la Francia, la Svezia, la Finlandia, la Polonia e la Grecia, ha “un potenziale elevato o buono per creare una eccedenza di energia rinnovabile che può essere utilizzata per produrre idrogeno rinnovabile. Al tempo stesso, la maggior parte dei siti industriali difficile da decarbonizzare sono situati in Germania, Italia, Francia, Spagna (ma non necessariamente nelle regioni di questi Paesi che hanno un buon potenziale per produrre idrogeno a partire da energie rinnovabili), Polonia e Paesi Bassi. Non tutti questi Paesi hanno un buon potenziale per produrre idrogeno rinnovabile”. È quanto emerge dalla relazione della Corte dei Conti europea dal titolo ‘La politica industriale dell’Ue in materia di idrogeno rinnovabile. Il quadro giuridico è stato in gran parte adottato: è ora di fare il punto della situazione’.
Secondo la Corte, l’Ue è riuscita solo in parte a porre le basi per il mercato emergente dell’idrogeno rinnovabile e, “nonostante le svariate azioni positive intraprese dalla Commissione europea, permangono problemi lungo tutta la catena del valore dell’idrogeno” tanto che “è improbabile che l’Ue raggiunga gli obiettivi per il 2030 in materia di produzione e importazione di idrogeno rinnovabile”. In questo contesto, la Corte esorta a fare il punto della situazione per far in modo che gli obiettivi perseguiti dall’Ue “siano realistici e le scelte strategiche non compromettano la competitività di industrie fondamentali o creino nuove dipendenze”. Secondo il membro della Corte, responsabile dell’analisi, Stef Blok, “l’Ue dovrebbe decidere una strategia per progredire sulla via della decarbonizzazione, senza alterare la situazione concorrenziale di industrie essenziali dell’Ue o creare nuove dipendenze strategiche”.
I revisori di Lussemburgo hanno ricordato che, in base a RePoweEu, la Commissione ha fissato, per iniziare, “obiettivi eccessivamente ambiziosi” per la produzione e l’importazione di idrogeno rinnovabile: cioè 10 milioni di tonnellate per ciascuna (20 milioni di tonnellate in totale) entro il 2030. Ma questi obiettivi erano “il frutto di valutazioni politiche” e “non erano basati su analisi approfondite”. Inoltre, il loro raggiungimento è stato compromesso perché le ambizioni degli Stati membri erano divergenti e non allineate con gli obiettivi dell’Ue e, nel coordinare l’azione degli Stati membri e dell’industria, la Commissione non ha fatto sì che tutte le parti spingessero nella stessa direzione. D’altra parte, la Corte riconosce all’esecutivo Ue il merito di aver proposto la maggior parte degli atti giuridici in breve tempo tanto “il quadro normativo è quasi completo ed ha fornito quella certezza che è indispensabile per creare un nuovo mercato”.
Secondo la Corte, creare una industria Ue dell’idrogeno richiede massicci investimenti pubblici e privati, ma “la Commissione non dispone di una visione completa né del fabbisogno né dei finanziamenti pubblici disponibili”. L’Italia, con poco più di 3 miliardi di euro, è il Paese in Ue che ha assegnato più fondi per progetti sull’idrogeno attraverso il piano nazionale di ripresa e resilienza, compreso il piano RePowerEu. Seguono Germania, Francia e Spagna. Al tempo stesso, i finanziamenti dell’Ue che i revisori hanno stimato a 18,8 miliardi di euro per il periodo 2021-2027 sono dispersi tra più programmi e, di conseguenza, “per le imprese è difficile scegliere il tipo di finanziamento più adatto ad uno specifico progetto” e “il grosso dei finanziamenti dell’Ue è utilizzato dagli Stati membri con una quota importante di industrie difficili da decarbonizzare e che hanno progetti in fase più avanzata”, come Germania, Spagna, Francia e Paesi Bassi.
Per tutti questi motivi, la Corte raccomanda alla Commissione di aggiornare la strategia per l’idrogeno sulla base di una valutazione approfondita di “come calibrare gli incentivi sul mercato per la produzione e l’uso dell’idrogeno rinnovabile; come stabilire un ordine di priorità per gli scarsi finanziamenti dell’Ue e decidere su quali parti della catena del valore focalizzarsi; considerare quali industrie l’Ue vuole mantenere e a quale prezzo, date le implicazioni geopolitiche della produzione interna all’Ue rispetto alle importazioni da Paesi terzi”.