Bruxelles – Non sono muri, non sono barriere fisiche, ma l’aumento dei fondi Ue per la gestione delle frontiere esterne dei Ventisette – e quindi della stessa Unione Europea – non significa che i soldi dei contribuenti Ue non stiano spingendo il rafforzamento delle infrastrutture di frontiera, con grosse preoccupazioni per il rispetto dei diritti delle persone migranti in arrivo ai confini dell’Unione. È quanto emerge da uno studio realizzato congiuntamente dalle reti di Ong European Council on Refugees and Exiles (Ecre) e Platform for International Cooperation on Undocumented Migrants (Picum), sulla base anche dei 24 programmi nazionali dello Strumento per la gestione delle frontiere e dei visti (Bmvi).
Il Bmvi è una delle due componenti del Fondo per la gestione integrata delle frontiere (Ibmf), che ha sostituito il precedente Fondo per la sicurezza interna – Frontiere e visti (Isf) e che ha conosciuto un aumento del 135 per cento, da 3 miliardi di euro (nel bilancio pluriennale 2014-2020) a 6,2 miliardi (nel 2021-2027). Più della metà dei fondi (59 per cento) è amministrata dagli Stati membri attraverso la gestione condivisa e il restante 41 per cento dalla Commissione Ue attraverso uno strumento tematico. L’aumento delle risorse si è registrato già dall’inizio della sua attuazione nel 2021, sia grazie alla revisione intermedia del bilancio Ue (che ha aggiunto un miliardo di euro), sia con l’approvazione del Patto migrazione e asilo (che porterà in dote almeno 600 milioni all’anno per il pool di solidarietà a partire dal 2027), oltre a 620 milioni di euro in trasferimenti da altri fondi del Regolamento sulle disposizioni comuni. Dei 6,2 miliardi di euro previsti fino al 2027 gli Stati membri ne hanno ricevuti finora 4 miliardi di euro, un aumento quantificabile già a un +45 per cento rispetto a quanto ricevuto in sette anni nell’ambito dell’Isf.
“I finanziamenti del Bmvi vengono utilizzati per un sistema sempre più complesso e digitalizzato di sorveglianza delle frontiere”, che viene sfruttato per mettere in campo “una rete interconnessa di controlli che danneggia le persone che giungono ai confini dell’Ue“, è l’avvertimento lanciato dalla Policy Officer di Ecre e Picum Chiara Catelli, autrice della ricerca Oltre i muri e le recinzioni: I finanziamenti dell’Ue utilizzati per un sistema di sorveglianza delle frontiere complesso e digitalizzato presentata oggi (4 luglio). “Il rifiuto della Commissione Ue di consentire il finanziamento di muri e recinzioni è una foglia di fico per coprire altre misure dannose che i fondi per le frontiere possono già sostenere negli Stati membri“, è il commento a proposito della questione diventata piuttosto spinosa sul termine ‘infrastrutture’ di frontiera e la differenza – più che tecnica, di interpretazione dei Trattati fondanti dell’Unione in accordo con la maggioranza al Parlamento Europeo – sulla questione del finanziamento delle barriere di confine con fondi Ue.
Come vengono spesi i crescenti fondi Ue alle frontiere esterne
I Paesi membri che hanno registrato l’aumento maggiore dei fondi Ue per la gestione delle frontiere esterne con lo strumento Bmvi sono Lettonia (+196 per cento), Grecia (+171), Slovenia (+141), Germania (+103) e Svezia (+100), mentre con poco più di 350 milioni di euro l’Italia ha conosciuto un incremento del 23,02 per cento. Un terzo dei programmi nazionali (35,66 per cento) è dedicato al rafforzamento delle infrastrutture e delle attrezzature, vale a dire la ristrutturazione e la creazione di edifici e infrastrutture di sorveglianza permanente, “anche nei Paesi con precedenti di respingimenti o detenzioni illegali alle frontiere”, e per aumentare i controlli con nuove tecnologie e l’intelligenza artificiale. Un altro terzo (36,3) è invece destinato allo sviluppo e all’espansione di database e sistemi informativi che costituiscono l’architettura su larga scala dei valichi di frontiera dell’Ue (Eurodac, Sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi, Sistema informativo Schengen).
I restanti fondi saranno spesi per rafforzare le risorse strategiche e umane interne (costi del personale, formazione, gestione delle operazioni), ma anche per le azioni a sostegno dello sviluppo di Frontex, per assistenza e protezione delle persone vulnerabili in arrivo alle frontiere esterne ma anche per gli investimenti in progetti di sviluppo delle capacità delle guardie di frontiera nei Paesi terzi. Per esempio l’Austria intende attuare progetti di sviluppo delle capacità sia nei Paesi di origine sia in quelli di transito (come Kosovo e Tunisia), l’Italia organizzerà sessioni di formazione per guardie di frontiera di Paesi non appartenenti all’area Schengen in Egitto, e i due Paesi membri – insieme a Bulgaria, Finlandia, Romania, Slovenia, Spagna e Svezia – hanno pianificato attività e stanziato spese per l’invio di funzionari di collegamento per l’immigrazione e guardie di frontiera nei Paesi terzi.
Tra le voci di spesa più preoccupanti registrate dallo studio di Ecre e Picum sono diverse quelle che possono essere portate come esempio di finanziamento con fondi Ue di pratiche che potrebbero violare i diritti delle persone in arrivo alle frontiere esterne dell’Unione, in particolare per quanto riguarda le tecnologie di sorveglianza da integrare a barriere fisiche. Come l’Estonia, che spenderà 2 milioni di euro in sistemi mobili di telerilevamento per aumentare la sorveglianza “dove non è economicamente fattibile costruire un’infrastruttura permanente”, oppure la Polonia che intende “ridurre la sorveglianza fisica” investendo in sistemi di rilevamento della luce su torri di guardia, sistemi di allarme, dispositivi portatili di visione termica e notturna. Croazia, Lituania, Polonia e Spagna stanno usando fondi Ue per acquistare cani da fiuto per inseguire le persone che attraversano i propri confini: in Croazia è già stato testimoniato l’uso di cani da attacco nell’ambito dei respingimenti illegali alla frontiera. Ungheria, Grecia ed Estonia utilizzeranno droni e velivoli non pilotati per espandere le capacità di sorveglianza aerea, mentre Croazia, Lituania, Slovenia e Spagna stanno pianificando l’acquisto di veicoli per trasportare le persone migranti fermate alla frontiera ed espellerle verso i Paesi confinanti, le cosiddette ‘riammissioni informali’ già giudicate illegali anche dal Tribunale di Roma.