Bruxelles – Il tavolo del Consiglio Europeo è caldo e all’ora di cena è pronta la portata principale. Le nomine Ue per i vertici delle principali istituzioni dell’Unione. Il pacchetto è sempre quello, ma a differenza della riunione informale del 17 giugno, oggi (27 giugno) a Palazzo Europa c’è la netta sensazione che sia ormai solido il consenso tra la stragrande maggioranza dei capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri Ue, nonostante nelle ultime ventiquattr’ore sia scoppiato il ‘caso Meloni’. Perché ora l’intesa generale tra le tre famiglie politiche europee che reggono la maggioranza centrista al Parlamento Europeo – popolari, socialisti e liberali – è esplicita, e dalle parole dei leader Ue non si vede quale boccone possa rendere indigesta la cena e l’intero pacchetto di nomine Ue.
Ursula von der Leyen alla Commissione Europea, António Costa al Consiglio Europeo, Kaja Kallas come alta rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza. È questa la base di partenza delle discussioni di oggi tra i Ventisette, che si impostano sull’intesa stretta tra i sei negoziatori delle tre famiglie politiche europee martedì (25 giugno): il primo ministro greco, Kyriakos Mitsotakis, e quello polacco, Donald Tusk (per il Partito Popolare Europeo), il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, e il primo ministro spagnolo, Pedro Sánchez (per il Partito del Socialismo Europeo), il presidente francese, Emmanuel Macron, e il primo ministro olandese, Mark Rutte (per Renew Europe). Per il via libera definitivo alle nomine Ue servirà la maggioranza qualificata rafforzata al Consiglio Europeo, che secondo i Trattati prevede contemporaneamente due condizioni: che il 72 per cento degli Stati membri voti a favore (quindi almeno 20) e che questi rappresentino non meno del 65 per cento della popolazione totale dell’Unione.
Tutto ciò considerato, l’ottimismo di fondo per una consumazione rapida del piatto portante a cena questa sera deriva dagli animi evidentemente distesi nel parterre di capi di Stato e di governo prima dell’ingresso al Consiglio Europeo. “A volte serve una piattaforma per rendere più fluide le decisioni e facilitare il dialogo, e abbiamo raggiunto una posizione comune tra le forze maggiori al Parlamento Europeo”, ha confermato il premier polacco Tusk. “Non si tratta solo di un accordo tra 27 capi di Stato e di governo, ma anche di una questione di quale tipo di maggioranza politica avrà la presidenza della Commissione al Parlamento Europeo“, ha sottolineato il cancelliere tedesco Scholz, a proposito del voto di conferma che – in caso di accordo in questo vertice Ue – “si potrà già tenere il 18 luglio durante la sessione plenaria inaugurale a Strasburgo“, è la conferma della presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola (pronta alla conferma nella stessa seduta da parte dei 720 eurodeputati).
L’appoggio sul pacchetto di nomine Ue corre dal primo ministro svedese, Ulf Kristersson (Ppe) – “Abbiamo buone ragioni per dire che oggi c’è unità, abbiamo tre ottimi nomi, molto rispettati e ben conosciuti per la loro capacità di dialogo” – al premier olandese uscente Rutte (Renew) – “Mi aspetto un dibattito, ma le tre famiglie politiche hanno un accordo” – fino al Taoiseach irlandese, Simon Harris (Ppe): “Non c’è dubbio, c’è un chiaro consenso“.
Guardando la composizione politica dei governi rappresentati al tavolo del Consiglio Europeo non stupisce che un’intesa tra popolari, socialisti e liberali non lasci grandi margini di dubbio: 23 Paesi membri su 27 sono guidati da leader di una di queste famiglie europee. Rimangono fuori solo l’Italia (l’insoddisfatta premier Meloni è presidente del Partito dei Conservatori e Riformisti Europei), la Slovacchia rosso-bruna rappresentata oggi dal presidente Robert Pellegrini, la Repubblica Ceca (ma il premier conservatore, Petr Fiala, ha già lasciato intendere che appoggerà il pacchetto) e l’Ungheria di Viktor Orbán, rimasto l’unico vero oppositore sia sul piano del contenuto sia delle modalità: “L’accordo è una vergogna e non si basa sul risultato delle elezioni”. Quello che hanno detto le elezioni però è che il Ppe si è rafforzato, che regge la maggioranza centrista e, soprattutto, che l’estrema destra non ha alcuna possibilità di proporre maggioranze alternative. Né al Parlamento né tantomeno alla cena del Consiglio Europeo.