Bruxelles – L’Europa degli Stati è a un bivio: o concedere cittadinanze ai bielorussi residenti su suolo comunitario, o accettare che per non ritrovarsi apolidi e senza cittadinanza rientrino in patria con ciò che ne consegue, incarcerazione e persecuzione. Le istituzioni comunitarie iniziano a porsi il problema. Le modifiche alla legge sulla cittadinanza introdotte alla fine del 2022 permette una facile privazione della cittadinanza a chiunque considerato ‘non grato’ al presidente Alexander Lukashenko e a chiunque sia troppo critico nei confronti del governo.
La Commissione europea non può emettere passaporti, prerogativa esclusiva degli Stati nazionali. Inoltre, ricorda la commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, l’esecutivo comunitario “non può creare programmi di cittadinanza per proteggere” quanti rischiano di diventare invisibili. L’unica cosa su cui si può lavorare a Bruxelles è a una sorta di cabina di regia, un coordinamento dei lavori e la promozione del dialogo tra e con gli Stati membri per lavorare a una soluzione.
Il Consiglio d’Europa stima che tra 200mila e 500mila persone abbiano lasciato la Bielorussia dopo le contestate elezioni del 2020 e i disordini che ne sono conseguiti. Numeri che inquietano Janina Ochojska, europarlamentare polacca uscente del Ppe che, con tanto di interrogazione, avverte “i bielorussi in esilio, compresi membri dell’opposizione, attivisti, difensori dei diritti umani, giornalisti e avvocati, attualmente temono l’apolidia o sono costretti a tornare nel loro paese d’origine, dove rischiano procedimenti giudiziari politici e arresti arbitrari“.
Gli Stati membri dell’Ue devono quindi decidere cosa fare, se il gioco di Lukashenko o naturalizzare un numero di persone pari alla popolazione di Malta. Da parte della Commissione c’è solo l’appello alla responsabilità e al rispetto dei diritti fondamentali. Per Johansson è “importanza vitale di garantire che i residenti bielorussi nell’Ue abbiano accesso ai documenti d’identità e di viaggio e abbiano la possibilità di regolarizzare il loro soggiorno pur non avendo accesso ai servizi consolari”. In attesa di una nuova nazionalità. Ora tocca ai governi.